domenica 28 dicembre 2008
COMMENTA E CONDIVIDI
È di una tristezza lacerante con­statare che nel confronto tra I­sraele e i palestinesi di Gaza si è svi­luppato, tra i tanti possibili, proprio lo scenario più tragico e banale. Fini­ta la tregua di sei mesi, Hamas ha or­chestrato a colpi di missile (più di 200 in pochi giorni) la solita provocazio­ne contro le città di Israele. Il gover­no dello Stato ebraico, ovvero la cop­pia Olmert-Barak e la coalizione Ka­dima- Partito laburista, prima ha cer­cato di resistere, poi ha lasciato ma­no libera ai militari. I palestinesi ora piangono più di duecento morti e giu­rano vendetta, gli israeliani annun­ciano altre azioni se al lancio di mis­sili non sarà posta immediata fine. Tutto già visto, tutto già scritto. E tut­to tragicamente inutile. Nulla cam­bierà dopo l’ennesima strage. Hamas ha ottenuto ciò che voleva: un lutto esemplare per infiammare il resto del mondo arabo (la Lega Araba ha già chiesto all’Onu di pronunciarsi 'sul­l’aggressione israeliana a Gaza'), ot­tenere da esso nuovi fondi e mostra­re ai palestinesi chi davvero ha cuo­re per combattere. A gennaio termi­na il mandato del presidente Abu Ma­zen, il leader di Al Fatah non si sa se più moderato o più debole, ed è chia­ro che nella Striscia c’è chi vuol lu­crare su quella scadenza e su questi morti 'esemplari'. Poco importa ad Hamas se il suo eventuale controllo dell’Autorità palestinese resterebbe lettera morta, un Governo di carta in­capace di intendere e di volere, sprofondato nel più completo isola­mento internazionale. Israele non può certo permettere che una parte del proprio territorio (quel­la, appunto, nel raggio di tiro dei Qas­sam) diventi di fatto inagibile, e il Go­verno Olmert, uscito piegato dalla guerra in Libano del 2006, non pote­va mostrarsi arrendevole agli occhi degli israeliani che in febbraio an­dranno a votare e già sentono il fa­scino bellicoso di Bibi Netanyahu, leader del Likud e ministro che nel 2005 si dimise proprio per protesta­re contro il ritiro da Gaza deciso da Sharon. Anche qui, però, la battaglia elettorale e le vecchie abitudini han­no la meglio su ogni altra considera­zione: tutti sanno che i 110 aerei che ieri hanno colpito Gaza non ferme­ranno i missili di Hamas, così come non poteva fermarli il blocco econo­mico della Striscia decretato da I­sraele nel 2007, dopo che Hamas a­veva ricacciato in Cisgiordania i riva­li di Al Fatah. Altrettanto chiaro è che Israele non può permettersi di rioc­cupare la Striscia, con il suo milione e mezzo di abitanti e le migliaia di mi­litanti armati di cui Hamas dispone. Un giorno, forse, qualcuno spiegherà perché non si è concretizzata l’unica iniziativa che avrebbe potuto e an­cora potrebbe imprimere una svolta: la firma di un accordo tra Israele e il Governo di Al Fatah in Cisgiordania. Ehud Olmert e Abu Mazen si sono in­contrati, il dialogo è progredito, I­sraele ha compiuto gesti non secon­dari come la liberazione di centinaia di palestinesi e lo sgombero di alcu­ni insediamenti illegali a Hebron. Ma a un vero accordo non si è giunti, an­che se molti lo davano per possibile, anche se avrebbe potuto solo raffor­zare due leader individualmente de­boli. Forse è mancata la forza di cre­dere nella pace per via pacifica, cosa che richiede molto più coraggio e fan­tasia politica che non cedere il passo ai generali o ai guerriglieri. O forse si è sentita, nel momento cruciale, l’as­senza degli Usa, l’unico mediatore a cui israeliani e palestinesi siano di­sposti a dar retta. In ogni caso, il bi­lancio oggi è questo: Al Fatah e Israe­le hanno perso un’occasione, Hamas è riuscito nella sua provocazione, le imminenti elezioni palestinesi e i­sraeliane rischiano di portare ancora più indietro le lancette della storia.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: