Italia-Germania 4-3, i colori del sogno in bianco e nero
mercoledì 17 giugno 2020

Anche chi non era ancora nato, tende a illudersi di esserci stato. Ma chi c’era, non può non ricordare la notte di Italia-Germania 4-3. “La partita perfetta”, dice una targa appesa dentro lo stadio Azteca. Mica vero: sette gol, tanti errori. Brutta, ma da infarto. Il fatto è che c’è sempre una Germania per un italiano vero. In semifinale o in finale, e anche prima. Ma c’è sempre una Germania anche nella nostra vita.

La usiamo come tacca sul muro, per capire se siamo cresciuti. È la nostra prova di maturità, un calendario perpetuo, un confronto dolce e urticante, un cielo senza tempo. Messico e nuvole, 17 giugno 1970: Rivera in bianco e nero. Cinquant’anni dopo non finisce mai. Quella partita è diventata un film, una commedia, un riferimento generazionale, una memoria collettiva, uno sfondo, un contenitore di altre storie, un modo di dire, il riassunto personale di un momento di tutti. E una domanda per tanti: cosa facevo, dov’ero, cosa mi ricordo di Italia-Germania 4-3? Difficile spiegarlo alla generazione del Covid. Non potranno mai capire fino in fondo. C’è una vita dietro, una storia che trasuda, tante altre puntate successive. Questione di cuore, anima, orgoglio. Siamo sempre lì: a portarci via il sogno e la gloria. Noi e loro.

La Germania sempre un po’ troppo crucca, per noi. L’Italia sempre un po’ troppo pasta, mamma e mafia, per loro. Qualcuno ha scritto che i tedeschi amano gli italiani, ma non li stimano. Gli italiani invece stimano i tedeschi, ma non li amano. Non ci siamo mai piaciuti, ma nemmeno troppo insultati: loro gonfi di una superiorità presunta, e solo in parte vera. Mai sul prato, comunque. Noi obesi dai nostri desideri, incapaci di essere bravi come loro. Capaci solo di batterli, (quasi) sempre. Però, che notti. E che partite piene di tornanti, maglie bagnate, staffette, curve del cuore. Sempre d’estate, o alla sua vigilia, sabbia e cocomeri. Turisti tedeschi che giocavano con la nostra liretta. E tifavano perché restasse così.

L’euro ha spiazzato anche loro. Sono diventati timidi sulle nostre spiagge, che adesso guardano con sospetto. Ma anche con nostalgia. Madrid, luglio 1982, la pipa di Bearzot, Pertini che esulta in tribuna, Tardelli e il suo urlo di Munch, il gol più lungo della storia, i tedeschi in ginocchio. Come a Dortmund, estate 2006, Fabio Grosso che segna e grida: «Non ci posso credere», la Germania battuta a casa sua. Questione di gol, sempre. È stato bello esserci, vederli, averli. Lo spread è un’altra cosa, certo. Ma con Italia-Germania passi dentro a notti che non finiscono più. Quando l’arbitro dice basta, c’è sempre il calendario da aggiornare. E poi tutti a pensare: ci sarà un’altra Germania per me? C’è, sempre. E se non arriva, ci sono quelle passate. Basta voltarsi.

Italia-Germania 4-3, Messico 1970: qui era cominciato tutto. Scriveva Gianni Brera, dallo stadio Azteca: «I tedeschi arrancano grevi. Sono proprio tonti: ecco perché li abbiamo quasi sempre battuti. Nel calcio vale anche l’astuzia tattica non solo la truculenza, l’impegno, il fondo atletico e la bravura tecnica...». Un po’ vero, un po’ retorico. La generazione post Sessantotto ha perso, invece Boninsegna e Riva un segno l’hanno lasciato. Almeno loro hanno vinto. Lontani però, troppo lontani. Basta riascoltare la replica della telecronaca di Nando Martellini quando dice: «Rivera… ancora… quattro a tre… che meravigliosa partita, ascoltatori italiani. Non ringrazieremo mai abbastanza i nostri giocatori per queste emozioni…».

Medioevo, splendido. Il pallone post- Covid è appena ripartito. Con più di un dubbio. Forse è questa la partita vera, il tempo che passa. Non si stava meglio quando si stava peggio: in realtà quando segnava Riva si stava meglio e basta. «Sono nato nel 1943 – ha raccontato una volta Gianni Rivera – e non lo potevo percepire, ma per la generazione dei miei genitori aver battuto la Germania nel 1970 in una partita così importante, fu psicologicamente la liberazione da una paura, anche fisica, da quel popolo... ». Per fortuna non è più una guerra oggi, e nemmeno un risarcimento. È molto di più. Fino alla prossima puntata, la prossima notte, i prossimi supplementari. Da aspettare chiedendoci se ci sarà un’altra sfida così. Dove sarò, dove saremo. Chissà. Cinquant’anni dopo, per fortuna, c’è stato un prima.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: