sabato 22 febbraio 2014
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Per la maggior parte degli italiani l’Africa è ancora il continente della povertà, delle guerre e dei rifugiati in fuga, fatta di zone controllate dai signori della guerra e dal terrorismo. Il nostro settore imprenditoriale ha una percezione superficiale, i gruppi presenti sono pochi e situati solo nei Paesi a forte crescita economica, mentre le Piccole e medie imprese escludono il mercato africano considerandolo ancora troppo pericoloso.
L’Africa “difficile” ancora esiste, ma comincia a cambiare. Il continente è in piena crescita economica con valori medi negli ultimi 10 anni del 5% e stimati al 6% per il prossimo quinquennio. Nello stesso periodo, l’indice regionale di sviluppo umano è migliorato e i conflitti si sono dimezzati. Si afferma progressivamente una nuova classe media con più capacità di spesa. Il tasso di risparmio africano sul Pil è inferiore solo all’Asia. Sta nascendo una manifattura africana, con un buon tasso di crescita.
Se i dati del presente sono importanti, il potenziale per il futuro è impressionante. La popolazione africana raddoppierà raggiungendo i 2 miliardi nel 2050, trasformando il continente in uno dei più grandi mercati al mondo. La spesa delle famiglie africane in beni di consumo raddoppierà nel 2020. Per questo il mondo intero guarda oggi all’Africa sub-sahariana. I richiami ad aver fiducia nel suo risveglio economico sono sempre più frequenti. A parte le antiche potenze post­coloniali e gli Usa, su tale nuova frontiera concorrono sempre più Paesi, a iniziare dalla Cina, ma ci sono anche India, Turchia, Corea, Malaysia... Siamo probabilmente di fronte a uno dei maggiori poli d’attrazione dell’economia mondiale del futuro.
L’Africa resta l’area che concentra le più gravi sfide globali: la grande povertà, le pandemie, la violenza e i conflitti, la sicurezza alimentare, il cambiamento climatico, l’urbanizzazione rapida, la competizione per le materie prime, la corsa alle terre. Non dobbiamo passare dall’afro­pessimismo a un afro­ottimismo acritico. Cambiamenti diseguali e rapidi rischiano oltretutto di produrre crisi impreviste.
L’economia della regione è ancora dominata dai Paesi produttori di petrolio e materie prime. L’industria manifatturiera resta caratterizzata da bassi livelli di tecnologia, anche a causa della mancanza di manodopera qualificata. L’agricoltura è poco tecnologica. I trasporti e il commercio intraregionale sono ancora limitati. Inoltre, per ora, la crescita non si traduce in posti di lavoro e la disoccupazione giovanile resta al 47%. Insicurezza politica e corruzione permangono problematiche. Inoltre l’Africa inizia ad affrontare la questione dell’invecchiamento della popolazione.
L’Italia può contribuire a migliorarne la resilienza e ad aumentare la crescita africana attraverso il suo know how. I quattro settori che contribuiranno maggiormente alla crescita del continente sono il mercato dei beni di consumo, le risorse naturali, l’agricoltura e le infrastrutture, seguiti da telecomunicazioni, credito bancario e settore turistico. In ognuno di questi segmenti l’Italia ha un’esperienza da offrire. I Paesi d’influenza e d’interesse italiano sono oggi principalmente quelli del Corno D’africa, il Mozambico e l’Angola.
Alcune recenti analisi, ad esempio il Rapporto Ispi Italia-Africa, ritengono che l’Italia debba rivedere le sue priorità geografiche, aggiornandole. Prendendo a prestito l’esperienza dell’Istituto Italo Latino-americano che negli anni è stato una cassa di risonanza e di contatto culturale e politico con l’America Latina (assumendo un ruolo nell’organizzazione delle Conferenze Italia America latina), credo, perciò, utile pensare a una fondazione pubblico­privata 'Italia Africa' per la promozione degli scambi politici, culturali ed economici che stabilmente diventi quel punto di riferimento che ci manca.
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