giovedì 7 giugno 2012
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Retrocedere non è mai positivo, non fa mai piacere. Nella vita come nello sport. Anche in economia. E l’Italia, ci dice il Centro Studi di Confindustria, è retrocessa dal quinto all’ottavo posto nella classifica della capacità manifatturiera dei Paesi mondiali. E questo nel periodo 2007-2010.Alzi la mano, mi verrebbe però da domandare, chi, non addetto ai lavori, ha mai pensato in questi difficilissimi anni di crisi, che il nostro Paese, posizionato in quasi tutte le classifiche internazionali oltre la quarantesima posizione, avesse il privilegio e la bravura di essere, ciononostante, tra i primi cinque al mondo per capacità di produrre manufatti. La notizia, intendo dire, è che eravamo quinti e non ce ne siamo mai praticamente accorti. Siamo peraltro in buona compagnia: è l’intera Europa a retrocedere, pur restando la seconda area industriale mondiale, dal 27,1% al 21% su base mondiale con Francia e Gran Bretagna a -0,9%, Spagna -0,7% e Italia -1,2%. Ma anche gli Stati Uniti scendono del 3,9%. Crescono invece la Cina (+7,7%) che da tre anni è in vetta alla classifica, l’India che è al settimo, il Brasile al sesto. Al terzo il Giappone, al quarto la Germania, al quinto la Corea del Sud. Avete capito bene l’Italia è avanti a Francia e Gran Bretagna, seconda in Europa. E allora si capisce che è un mondo che cambia, che l’asse produttivo si sta spostando nell’area dei Paesi ormai ampiamente emersi. Non c’entra in particolare l’Italia, che con le sue imprese sta facendo miracoli anche e soprattutto nell’export in cui il manifatturiero non può che pesare moltissimo, oltre il 70%, vista la nostra storia e le nostre caratteristiche.Diversamente dallo sport, dove solo chi vince si aggiudica la medaglia d’oro ed entra negli annali, in economia l’importante è fare parte del gruppo di testa perché ciò significa garantire alle persone di quel Paese buone condizioni di vita: settimi, ottavi, noni o dodicesimi in un certo senso poco importa, qui occorre prevalga De Coubertin: l’importante è partecipare. Una classe dirigente all’altezza deve farci mantenere le posizioni, perché al vertice per mille motivi, soprattutto storici, non ci arriveremo mai. E se anche dovessimo perdere qualche ulteriore piazzamento a favore di economie emergenti non va mai dimenticato che questo, come visto, riguarda l’intero mondo occidentale e non solo l’Italia, e, in più, che per il nostro Paese ciò potrebbe significare l’apertura di nuovi vasti mercati ai propri specifici prodotti. Poiché la ricchezza prodotta in quelle nazioni sarà investita anche in qualità della vita e in standard tipicamente occidentali, piuttosto che lamentarci, meglio attendere questi nuovi consumatori. Attestandoci fin d’ora nelle fasce alte di ogni mercato e migliorando, di conseguenza, la combinazione di innovazione, qualità e servizio contenuta in ciascun prodotto. Guai, dunque, a leggere in questa retrocessione (di cui sia chiaro avremmo fatto volentieri a meno) la conferma di chi dice che il futuro è inevitabilmente nei servizi. Al contrario, il presente e il futuro di questo Paese è proprio nel manifatturiero perché è questo che sappiamo fare, è questo che il mondo è abituato a chiederci, è questo che dobbiamo impegnarci a fare sempre meglio, anche in termini di produttività, certo, ma soprattutto di valore aggiunto. È solo un paradosso, ovviamente, ma se la quantità di auto prodotte in Italia diminuisse, ma queste fossero tutte Ferrari regolarmente vendute sui mercati internazionali perderemmo qualche ulteriore posizione in questa classifica, ma continueremmo a stare relativamente bene.
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