sabato 13 giugno 2015
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Il "corridoio Italia" sta scoppiando e in questa settimana preelettorale il Belpaese sembra precipitato in una sorta di stato di emergenza per colpa degli «immigrati»: profughi, richiedenti asilo, irregolari e residenti-contribuenti, senza distinzione. Le barche alla deriva, gli sbarchi, le stazioni ferroviarie come derelitti porti di terra ferma, orribili fatti di cronaca nera mediatizzati e scaraventati di peso in slogan politici stanno facendo crescere una sorta di isteria nell’opinione pubblica e sembrano dar ragione a quei leader di partito e a quei governatori del Nord Italia che hanno deciso di alimentare la paura, la sindrome da invasione e la xenofobia per cercare di rimpinguare il loro bottino di voti. Puntualmente, ieri, il cardinale Bagnasco, presidente della Cei e pastore in una grande città industriale e marina come Genova, ha ripetuto che in un Paese democratico occorre saper coniugare, invece, legalità e sicurezza con la solidale e dignitosa accoglienza dei disperati.E, poi, siamo davvero invasi? Da gennaio in Italia sono arrivate 56mila persone, solo il 10% in più del 2014 e, dicono autorevoli osservatori, il conflitto in Libia (dove Maroni insiste nel voler aprire campi profughi) e la paura di finire nelle mani delle belve dello Stato islamico, sempre più padrone della costa, sta spostando i flussi verso Egitto e Grecia. Il Mediterraneo è in movimento a sud, le carovane dei «migranti per forza» in arrivo dall’Africa subsahariana e dal Sahel e dal Vicino Oriente si stanno dirigendo in altre direzioni. Quindi, le partenze a sud di Lampedusa dovrebbero diminuire a breve, a fronte di una crescita – già evidente nei 48 mila arrivi registrati in Grecia nel 2015 – della rotta balcanica. La ragione per cui questa settimana alcune stazioni italiane (giovedì, nella capitale, Tiburtina  è stata sgomberata senza tanti complimenti…) sono diventate accampamenti di profughi in parte va cercata ancora più a nord di Milano e di Venezia, nel braccio di ferro in atto a Bruxelles tra la Commissione e una decina di Stati membri sulla ripartizione delle quote dei profughi sbarcati da aprile. Lo ribadiamo: una gran parte di chi arriva sulle nostre coste le usa come "banchina", perché intende proseguire per la Germania, la Svizzera, la Francia o la Scandinavia dove ha parenti e amici. Ma le rigidità del Trattato di Dublino, ormai superato, vincolano i richiedenti asilo per motivi umanitari e politici a rimanere nel Paese di arrivo, cioè dove la polizia li ha identificati. Così chi di loro vuole andarsene a tutti i costi dal Belpaese, in poche ore lascia i centri. Infatti, in Sicilia i centri di accoglienza, un po’ trascurati dai media negli ultimi giorni, non sono più congestionati. Si è invece chiuso lo sbocco del "corridoio Italia" verso nord. Per questo i profughi in viaggio, sono al momento "spiaggiati" nelle stazioni di Roma e di Milano e bloccati al confine di Ventimiglia dai flic francesi e al Brennero perché la Francia li respinge e la Germania ha sospeso la libera circolazione di Schengen (e l’Austria si adegua). Prevedibilmente la situazione si sbloccherà quando Bruxelles e gli Stati Ue refrattari all’accoglienza troveranno un punto di equilibrio.Sono questi i motivi per cui l’estate potrebbe prospettarsi difficile. E in un clima che si va arroventando non vorremmo che salisse il rischio di atti di intolleranza e razzismo per la strumentalizzazione di violenze compiute da stranieri. Il pensiero corre allo stupro subito l’altro giorno a Torino da una disabile a opera di tre africani (uno dei quali richiedente asilo, un altro certamente irregolare) e all’allucinante aggressione con machete di un capotreno da parte di esponenti di una gang di salvadoregni a Milano. L’unico commento possibile nel primo caso è non fare di ogni erba un fascio, perché sono stati proprio i coinquilini dei tre presunti stupratori nelle case occupate dell’Ex Moi ad aver chiesto per primi verità e giustizia. Nel caso di Milano occorre invece riflettere su quanto (non) si sta facendo, retorica a parte, per prevenire l’emarginazione giovanile. Pensiamo a chi arriva già adolescente dal Sudamerica, magari cresciuto in patria senza una madre, e si ritrova seduto in fondo a una classe in un Paese straniero dove non conosce neppure la lingua. Facile che chi è senza una famiglia alle spalle cerchi sostegno in una qualche gang, persino nelle spietate e violente maras. Non è una giustificazione, e un problema riconosciuto come tale. E noi italiani dovremmo saperlo bene, perché mafia e ’ndrangheta le abbiamo esportate così.
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