giovedì 7 settembre 2017
Caro direttore, “Avvenire” ha trattato ampiamente il caso suscitato dall’unione civile celebrata nel nostro Paese, tra il capo gruppo scout Agesci
Io, parroco, e l'«unione» del capo scout tra discernimento e messaggi ambigui
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Caro direttore,
“Avvenire” ha trattato ampiamente e per due volte (il 12 luglio e il 20 agosto scorsi) il caso suscitato dall’unione civile celebrata nel nostro Paese, tra il capo gruppo scout Agesci, operante nella nostra parrocchia e il suo compagno omosessuale, avvenuta il 3 giugno scorso. Certamente il caso riguarda, come scritto, la comunità ecclesiale più ampia e implica una riflessione generale sul tema educativo nel campo affettivo, ma nel frattempo? Qui vi è stata una celebrazione pubblica, con la partecipazione di gran parte del gruppo di educatori, di famiglie, di giovani, con tanto di musica, “predica” del presbitero assistente, festa collettiva, scambio di anelli e di baci tra i due protagonisti dell’unione. Il capo scout (capo gruppo e capo clan) sta continuando a esercitare il suo servizio e a ricevere pubblicamente la Comunione nelle sante Messe quando vi partecipa. La mia idea è che il messaggio ormai sia già passato: il matrimonio tra un uomo e una donna o l’unione civile tra due persone dello stesso sesso, agli occhi degli uomini e di Dio, sono più o meno la stessa cosa. Insomma, qui non si tratta più di discernimento, ma di fede. Il “discernimento pastora-le”, infatti, richiede anzitutto la conoscenza e valutazione della situazione concreta in oggetto. Per fare un’analogia nel campo medico: una buona cura inizia da una buona diagnosi. Maggiore è la conoscenza della malattia, le sue cause, gli effetti, l’origine, più efficace sarà la scelta della medicina giusta e del percorso di guarigione. Così, nella vita di fede, dobbiamo avere la chiarezza del peccato se vogliamo salvare il peccatore. Ma il bene e il male non lo decidono gli uomini a maggioranza o a suon di discussioni, ma Dio, e sul tema in questione c’è la Scrittura, la Tradizione, il Magistero, il buon senso cristiano e direi “naturale”, che ci illuminano. Nel nostro caso, finché non chiameremo le cose con il loro nome sarà difficile ogni percorso di bene affidato alla grazia di Dio. Riguardo la situazione concreta poi, se il discernimento nella Chiesa locale e nell’Agesci sulla valutazione e il percorso da farsi, non coincide con il discernimento del parroco, che facciamo? La mia, caro direttore, è la voce di un pastore in sofferenza per la sua comunità.

*parroco dei Santi Pietro e Paolo Staranzano (Gorizia)

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