venerdì 26 febbraio 2010
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Caro direttore,su Avvenire di oggi, Francesco D’Agostino scrive un bell’editoriale sulle intercettazioni. L’editoriale non fa una grinza: le intercettazione hanno la loro ragion d’essere nell’accertamento di responsabilità penali. Su questa ragione si fonda quindi l’autorizzazione al loro utilizzo e la modalità con cui vengono divulgate. Nel rispetto della persona inquisita e nel fondamentale diritto alla presunzione di innocenza. Cosa provoca la non osservanza di queste elementari regole è sotto gli occhi di tutti. Il titolo dell’editoriale recita Intercettazioni: ora un limite di civiltà, ma, tra parentesi, (ma non a chi indaga). Posso aver capito male e quindi chiedo se il tra parentesi è un appunto fatto a chi indaga oppure se chi ha fatto il titolo si augura che il limite di civiltà non si debba applicare a chi è incaricato delle indagini. In questo caso tutto il bell’editoriale sarebbe vanificato dalla frase tra parentesi. Chi indaga ed è chiamato a far rispettare le regole, visto che sono in gioco la dignità e la vita della persona, non deve rispondere a propria volta e a maggior ragione a regole ben precise? Altrimenti, come conclude l’articolo, è così che si realizza l’ingiustizia. Summum ius, summa iniuria. Le sarei grato di un chiarimento.

Corrado Brizio

Caro direttore,certamente quanto Avvenire ha riportato sulla necessità di mantenere riservate le intercettazioni ha un senso, ma a mio avviso siamo in una situazione di degrado eccezionale che non ammette mezze misure e un arretramento dalla attuale normativa. Una volta emessi degli avvisi di reato, per quanto non si possa ancora parlare di colpevolezza sul piano giudiziario, è opportuno che si venga a sapere cosa succede dietro le quinte, nei rapporti tra politica e affari. Credo che le persone che ancora in Italia cercano di seguire principi di correttezza e senso di responsabilità nel lavoro, siano nauseate dal degrado morale e civile che queste intercettazioni ci permettono di conoscere! Altro che «giustizia mediatica»! I politici e i loro collaboratori, in particolare, ma tutti coloro che hanno responsabilità collettive, dovrebbero essere corretti anche dietro le quinte, non solo di facciata! Credo che i provvedimenti governativi, continuamente riproposti all’attenzione pubblica come essenziali per la difesa della privacy, costituiranno un netto bavaglio alla nostra capacità di intendere cosa sta succedendo, oltre che una grande limitazione della capacità degli inquirenti di raggiungere i risultati importanti che continuamente abbiamo potuto verificare in questi anni anni, dallo scandalo Parmalat in poi. Anche l’ultimo gravissimo fatto di riciclaggio di denaro sporco non sarebbe emerso senza le intercettazioni come finora sono configurate. Per capire quale passo indietro fra poco saremo costretti a subire, in caso il progetto governativo venga definitivamente approvato, basta leggere il pacatissimo documento dell’Associazione nazionale magistrati, presente sul loro sito in rete (www.associazionemagistrati.it). Quanti sanno, per esempio, che è stato proposto un limite di tempo massimo oltre il quale si dovranno sospendere le intercettazioni (un palese controsenso quando le indagini sono lunghe e difficili)? Il tema della giustizia, di una giustizia autonoma ed in grado di bene operare, è cruciale e viene prima della opportunità di mantenere riservati i fatti privati di pochi interessati che hanno grosse responsabilità e si comportano in maniera deprecabile. Noi cittadini comuni, che cerchiamo di essere onesti, non abbiamo alcuna paura di essere intercettati!

Paolo Spagnolli

I vostri punti di vista, cari amici, appaiono divergenti. E diversamente interpellano Avvenire. Ma credo che l’ansia di veder applicata la legge con giustizia sia fondamentalmente la stessa per tutti noi. E, a mio parere, Francesco D’Agostino l’ha espressa compiutamente nella densa riflessione che abbiamo pubblicato martedì 23 febbraio in prima pagina. Ciò che abbiamo scritto e titolato a proposito di intercettazioni telefoniche non è equivocabile. E altrettanto inequivocabile è lo stile informativo che abbiamo testimoniato – sforzandoci di fare con correttezza e completezza il nostro lavoro di giornalisti – in tutti questi anni di vorticosa crescita dei cosiddetti «processi mediatici». Riteniamo, insomma, necessario che venga ribadita l’esistenza di limiti ben chiari e ben calibrati all’utilizzo da parte dei mass media di mezzi e materiali d’indagine così pervasivi e tali da precostituire un «giudizio», a volte di precipitosa condanna, già nella fase istruttoria del processo. Ma al tempo stesso sappiamo molto bene che le intercettazioni sono uno strumento utilissimo e, per molti aspetti, irrinunciabile nella lotta al crimine e perciò sosteniamo da tempo che debbono restare efficacemente a disposizione delle autorità inquirenti. Le due esigenze vanno tenute insieme. E insieme devono essere adeguatamente tutelate.
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