domenica 17 gennaio 2010
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Dal 1914, all’inizio del Pontificato di Benedetto XV, in Italia e nel mondo si celebra la Giornata mondiale delle migrazioni. Una Giornata nata nell’emergenza della Prima guerra mondiale, con la mobilitazione di persone e famiglie soprattutto in Europa, ma che in quasi cent’anni ha saputo interpretare "con gli occhi della fede" il fenomeno della mobilità sempre crescente, che oggi interessa un miliardo di persone, 800 milioni delle quali migrano all’interno del proprio Paese, mentre 200 milioni scelgono anche Paesi e continenti diversi. Quest’anno, il tema della Giornata riguarda i minori migranti e rifugiati. È un tema che sceglie, dal mondo della mobilità, volti e storie particolarmente vulnerabili. Sono i volti dei minori stranieri nati in Italia che attendono la cittadinanza, bambini stranieri che mediamente perdono un anno di scuola; dei bambini italiani all’estero, che vivono il disagio della scuola; dei bambini nomadi o dello spettacolo viaggiante talora tollerati se non discriminati nelle scuole. Sono i mille bambini di donne o famiglie richiedenti asilo e profughi che per mesi attendono di entrare in città, nella scuola; sono i volti dei minori in carcere o usciti da drammatici percorsi di prostituzione. Oggi, 17 gennaio, nelle parrocchie e nella manifestazione nazionale a Capua, promossa dalla Fondazione Migrantes della Cei, si penserà a loro, si pregherà per loro: in particolare, per i 100mila bambini e ragazzi che annualmente, via mare e via terra, per nascita o per ricongiungimento familiare o per tratta, in fuga da 24 guerre e disastri ambientali, tra fame, siccità e violenze, nascosti spesso nelle stive di navi, nei camion, negli autobus, arrivano in Italia, tra noi. Attorno ai diversi volti di minori stranieri, per evitare violenze, sfruttamento e abusi, è messa alla prova la capacità istituzionale di tutela dei diritti fondamentali dei minori, primo tra tutti il diritto di famiglia. Si tratta di avviare più percorsi di advocacy e di cura, di cittadinanza, anche sperimentali, sia per la diversa età dei minori, ma anche per i numerosi Paesi di provenienza e le differenze culturali. La città oggi è chiamata a vedere in tutto il mondo dei minori migranti e rifugiati un tassello importante della preparazione di un futuro, che passa necessariamente attraverso un dialogo interculturale – che un modello legislativo nuovo di cittadinanza può aiutare –, che rifiuta nuove forme di esclusione o provvisorietà sociale. In questo contesto, si inserisce la centralità della scuola, che non può non essere attenta a garantire il diritto all’istruzione di tutti i minori immigrati e rifugiati, regolari o irregolari. In questa direzione, occorre sperimentare modelli nuovi di incontro tra scuola e comunità sociali, valorizzando anche le figure degli educatori di strada e i tempi di permanenza in centri di accoglienza da parte dei minori, così da evitare il drop out, l’abbandono scolastico. Nel rapporto con i minori migranti è cresciuta anche la Chiesa, da una parte nella sua capacità caritativa di costruire "segni di fraternità", ma anche di avviare esperienze di pastorale giovanile che rinnovino gli ambienti di aggregazione giovanile e gli oratori, sperimentando percorsi d’incontro e d’intervento specifici, tesi alla crescita integrale, attenti alle diverse dimensioni della vita giovanile (sport, scuola, affetti, amicizie, formazione al lavoro...). L’azione per lo «sviluppo integrale della persona», ricordata da Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio (1967) e ribadita da Benedetto XVI nella recente enciclica Caritas in veritate, trova nella cura e nell’accompagnamento dei minori una delle esperienze più qualificanti ed efficaci della missione sociale ed educativa della Chiesa di oggi.

            

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