venerdì 19 giugno 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Gentile direttore, subito dopo avere documentato l’aumento esponenziale dell’immigrazione, decuplicata in tutti i maggiori Paesi europei negli stessi anni in cui la natalità europea crollava molto al di sotto del tasso di ricambio generazionale (cioè circa la metà di 2,1 figli per donna), il ritornello mediatico è che comunque non si tratta di cruenta “invasione”. Migliaia di morti nei naufragi delle carrette-lager non suggeriscono al segretario generale e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di intervenire militarmente contro lo Stato islamico e politicamente con Amministrazioni Internazionali in Libia, Siria e Iraq? Matteo Maria MartinoliMilano Purtroppo, gentile signor Martinoli, il concerto mediatico è di tutt’altro tono rispetto a quello colto da lei, e ritma immagini e slogan (messi in circolazione da politici e da colleghi cronisti arruffapopolo o semplicemente arruffoni) tutti rigorosamente e persino istericamente sul tema dell’«invasione». Ne abbiamo amaramente preso atto, senza adeguarci al coro, con un editoriale di Paolo Lambruschi pubblicato in prima pagina sabato scorso, 13 giugno. Sottolineando che si tratta di un’esagerazione assoluta e, dunque, di una falsità. Lo dicono i numeri reali: circa 56mila arrivi di profughi e migranti via mare dall’inizio dell’anno, che pongono certamente problemi, ma rappresentano meno dell’1 per mille della popolazione italiana (e sono di un decimo appena superiori agli sbarchi avvenuti negli stessi mesi dello scorso anno). Eppure la realtà, comunque dura, è stravolta da “narrazioni” iper-allarmistiche e dall’incivile insufficienza di un’«accoglienza» che non sempre merita di essere definita tale nonostante le consuete e bellissime prove di solidarietà date da tanti cittadini di questi Paese, assai migliori di chi li rappresenta e di chi li racconta. Abbiamo scritto molto di questo e non mi dilungo, mi limito solo a ricordare che l’immigrazione verso l’Europa e l’Italia non è un accidente, ma il frutto di ingiustizie e di sofferenze (perché altrimenti tante persone si sradicherebbero dalla propria terra di origine?).Eppure è anche un dono, un dono reciproco. Dono di chi arriva e bussa, portando energie nuove in una terra invecchiata e «stanca», per usare l’immagine scelta da papa Francesco per spronarci a recuperare fede cristiana e feconda fiducia, e che è anche idealmente presente nelle sue poche, ma appassionate righe. Dono di chi apre le porte e dovrebbe saper dare la misura – la buona regola – del vivere e del lavorare assieme. Gli esseri umani, non mi stanco di ripeterlo, sperimentano problemi, ma non sono mai “il” problema. Sono sempre, e prima di tutto, una ricchezza. E, appunto, sono un dono, che va compreso, meritato e governato. Quanto ai doveri dell’Onu, tra pochi giorni – il 26 giugno – saranno passati 70 anni esatti dalla nascita di fatto di questa preziosa Organizzazione: tutto avvenne nel 1945, a San Francisco, con la firma da parte dei primi 50 Stati membri della Carta statutaria che sarebbe entrata in vigore il 24 ottobre successivo. Tra i grandi e chiari impegni allora sottoscritti, più volte confermati e in troppe occasioni contraddetti ci sono lo sviluppo di politiche volte «a mantenere la pace e la sicurezza», a «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli», e a conseguire livelli di sempre più efficace «cooperazione internazionale».Sappiamo che però, purtroppo, l’Onu resta spesso ostaggio di opposte politiche di potenza e del diritto di veto di cinque Stati – Usa, Cina, Russia, Francia e Gran Bretagna – che sin dal principio si sono autoproclamati più uguali degli altri e che tali vogliono restare in un mondo infinitamente cambiato. Posso, perciò, dirle, caro lettore, che se non condivido tono e sintesi d’esordio della sua lettera, condivido invece il senso della sua chiusa. Soltanto l’Onu, cioè la famiglia delle Nazioni, può legittimare e dosare l’uso della forza per scongiurare un male più grande e impedire il perpetuarsi di ingiustizie, sofferenze e uccisioni. Ogni azione eccessiva e scriteriata ogni cinica o meschina inazione sono egualmente colpevoli. Ma questo non vale solo per ciò che drammaticamente e caoticamente accade sulla riva libica del Mediterraneo o nei teatri di guerra del Vicino Oriente, vale anche per quanto continua a succedere nell’Africa subsahariana o nell’area asiatica centro-meridionale nella quale si originano flussi di uomini e donne in fuga che l’ignavia dei potenti del mondo continua a trasformare nel terribile affare privato dei trafficanti di esseri umani. L’Onu deve riuscire a essere ciò per cui è nata, e lo deve presto, anzi adesso. Io mi convinco sempre più che un decisivo motore della “svolta dell’efficacia” potrà essere proprio la Vecchia Europa. Se darà l’esempio e se dimostrerà a tutti che cedere un po’ di sovranità nazionale per acquistare giustizia e pace, e dunque benessere, è l’affare degli affari. Nessuno, ma proprio nessuno, ne è escluso.Marco Tarquinio
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI