giovedì 3 gennaio 2013
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L’hanno chiamata "Figlia dell’India", ma anche Nirbhaya ("Colei che non ha paura"), Jagruti ("Risveglio"), Damini ("L’Illuminata") e Amanat ("Colei che ha la nostra fiducia"). E infatti la figlia dell’India non ha avuto paura, ha denunciato i suoi aguzzini, durante l’agonia li ha incastrati testimoniando a gesti l’accaduto.
Senza neppure conoscerne il nome, tutto il mondo ha parlato per settimane della 23enne selvaggiamente stuprata a New Delhi: perché? E perché l’India intera si è sollevata per lei – l’India, Paese delle caste, della donna tradizionalmente sottomessa, anzi, della donna così poco valutata che nelle regioni più abbienti, quelle che si possono permettere ecografie ed esami prenatali, spesso viene abortita proprio in quanto figlia femmina – ... perché questa India è scesa dunque in piazza per la sua Nirbhaya?
Aggredita il 16 dicembre in piena New Delhi mentre su un pulmino tornava dal cinema con il fidanzato, un ingegnere di 28 anni, è stata stuprata e seviziata per un’ora da sei belve, poi gettata dal mezzo in corsa, ed è morta tredici giorni dopo per la devastazione degli organi interni. Una violenza estrema, è vero, ma purtroppo non unica, non sufficiente da sola a spiegare quello "strano" fenomeno fatto di rabbia, di giustizia chiesta a gran voce da migliaia di manifestanti, di uomini e donne ugualmente indignati. Non siamo abituati in nessun luogo a vedere una mobilitazione di massa in difesa del debole e a favore del diritto (più spesso nella razza umana è l’indifferenza a tacitare le grandi ingiustizie), ma tantomeno ce la saremmo aspettati da un popolo in cui nascere donna è un handicap fin dal ventre materno e le disparità tra i sessi sono dure a morire. Qualcosa allora sta cambiando nell’India a due marce, non più Paese emergente e non ancora del tutto emerso, dove due società antitetiche si fronteggiano: da una parte la società antica dei pregiudizi (contro la donna, contro i paria), cui aderiscono sia le classi abbienti e conservatrici, sia la fascia povera e meno acculturata; dall’altra la società del cambiamento, affidata ai giovani, gli stessi che hanno deciso di scendere in piazza per "L’Illuminata": non un corteo di femministe ma una vera rivoluzione collettiva, di uomini e di donne insieme, che ha tenuto in scacco il governo centrale e ha costretto a blindare le strade di New Delhi, Mumbai, Kolkata, Bangalore.
Un’intera società, appunto, contro un’altra ormai destinata al tramonto.
Intanto altre donne morivano proprio come "Colei che non ha paura" (a Barasat una 45enne che tornava in bus dal lavoro con il marito è stata violentata da otto uomini; nel Tamil Nadu una ventenne che era in compagnia del fidanzato è stata stuprata per due ore da una decina di uomini, tutti arrestati; e una 17enne, vittima a novembre di un branco nel Punjab, si è suicidata dopo che la polizia aveva cercato di convincerla a sposare uno degli aggressori e ritirare la denuncia). L’ondata di manifestazioni ha costretto il premier Singh a promettere nuove leggi per proteggere le donne e già questa è una conquista in un Paese che finora ha considerato la piaga degli stupri poco più che disdicevole, ma il cambiamento sarà reale solo quando l’aborto selettivo sarà considerato incivile e il milione di bambine attualmente eliminate ogni anno in quanto femmine potrà vivere. Fino a quel giorno, sarà ipocrita indignarsi solo per le ragazze stuprate e buttate via come un rifiuto, perché una società che considera la donna così "minore" da non aver diritto di nascita alimenterà sempre il circolo vizioso oggi esistente: le bambine sono abortite poiché "valgono" poco, ma proprio perché sono poco valutate molti genitori pensano sia meglio per loro non nascere.
«Grazie a nostra figlia le donne in India avranno un futuro migliore – dicono i genitori di Nirbhaya – faremo conoscere il suo nome se le vorranno dedicare una nuova legge contro lo stupro». Speriamo contro ogni stupro, anche l’omicidio di genere, affinché "Figlia dell’India" possa essere il nome di tutte le donne.
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