giovedì 29 dicembre 2011
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Provocazioni e menzogne, orchestrate secondo regole risapute utilizzate dai totalitarismi e dagli imbonitori di vario colore. Questa è la campagna contro la Chiesa accusata falsamente di evadere l’Ici, nella speranza di renderla odiosa alla gente, sottrarle simpatie e oscurare il bene, a vantaggio di tutti, che opera oggi come e più di ieri. Ma sono cose note. Adesso che molti, mossi dall’esasperazione, giungono perfino a esporre le ricevute delle imposte, regolarmente pagate, una riflessione è opportuna: anche dal male i cristiani possono ricavare un insegnamento positivo. In questo caso, le lezioni di cui fare tesoro sono almeno due. Nessuna delle quali peraltro nuova. La prima: il denaro, che la Chiesa riceve e re­stituisce moltiplicato, non è un capitolo a parte, secondario e accessorio, rispetto al­l’annuncio del Vangelo, ma ne è parte inte­grante. Il denaro: il suo reperimento, la sua amministrazione. In teoria tutto è chiarissi­mo. Il documento della Cei Sovvenire alle ne­cessità della Chiesa (1988) lo dimostra attin­gendo alle Scritture, al Concilio, al Codice di diritto canonico («Quello del reperimento e dell’amministrazione delle risorse economi­che non è un aspetto isolato nel più vasto quadro ecclesiale; anche nella Chiesa ogni profilo dell’esperienza comunitaria è intrec­ciato strettamente a tutti gli altri»,18). Non bisogna avere paura di parlarne. E un even­tuale pudore, in parte comprensibile, oggi di­venta un 'lusso' che rischia di ritorcersi con­tro chi ne restasse prigioniero. Non è una virtù, certo non in questi tempi. Ed ecco la seconda e più importante lezione. Un valore evangelico decisivo, affinché chi annuncia il Vangelo sia credibile, e quindi credibile sia il Vangelo stesso, è la trasparen­za. Nulla va nascosto, tutto va reso visibile. Ma pure questo era detto a chiare lettere 23 anni fa: «Anche per noi (il documento si sta rivolgendo a preti e vescovi, ndr) deve valere quella correttezza e quella trasparenza che vorremmo fossero sempre di più tratti carat­teristici di un’amministrazione ecclesiastica credibile» (22). Tra i tanti «doveri» elencati, u­no spicca per la sua radicalità: «Deve essere richiamato con forza il dovere di ciascun pre­te e di ciascun vescovo (...) di fare testamento (...) evitando così che i beni derivanti dal mi­nistero, cioè dalla Chiesa, finiscano ai parenti per successione di legge». È un gesto concre­to di estrema povertà e trasparenza nei con­fronti dei fedeli: ciò che mi affidate non è mio, io non possiedo nulla ma tutto appartie­ne alla Chiesa a cui tutti noi apparteniamo. Un altro documento della Cei, Sostenere la Chiesa per servire tutti, 20 anni dopo dedica un paragrafo apposito all’«obiettivo della tra­sparenza »: «Amministrare i beni della Chiesa esige chiarezza e trasparenza. Ai fedeli che contribuiscono con le loro offerte, agli italia­ni che firmano per l’otto per mille, alle auto­rità dello Stato e all’opinione pubblica abbia­mo reso conto in questi anni – scrivono i ve­scovi italiani – di come la Chiesa ha utilizzato le risorse economiche che le sono state affi­date. Siamo fermamente intenzionati a con­tinuare su questa linea», sapendo però che «dobbiamo ancora crescere: ogni comunità parrocchiale ha diritto di conoscere il suo bi­lancio contabile, per rendersi conto di come sono state destinate le risorse disponibili e di quali siano le necessità concrete della par­rocchia » (10). L’obiezione è frequente: pubblicare un bilan­cio è difficile, farlo in modo che tutti capisca­no è difficilissimo. Non tutti i parroci sono dei provetti contabili... Obiezione (cortese­mente) respinta. Già Sovvenire, nel 1988, pre­cisava: «Tutti i fedeli, ma specialmente i laici, sono chiamati a mettere a disposizione la lo­ro competenza e il loro senso ecclesiale col­laborando disinteressatamente ai diversi li­velli dell’amministrazione ecclesiastica». Il Consiglio parrocchiale per gli affari economi­ci serve appunto a questo. Ogni parrocchia ha un contabile, un bancario, un ammini­­stratore competente, a cui il parroco può affi­darsi. La trasparenza, a tutti i livelli, è sempre stata richiamata come una necessità. Oggi indero­gabile.
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