martedì 15 marzo 2016
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Intelligere, insegnavano i latini, è la capacità di guardare dentro le cose. Di leggervi in profondità, ben oltre la mera superficie. E a ben guardare anche la prolusione con cui ieri il cardinale Angelo Bagnasco ha aperto il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana è un esercizio di intelligenza della realtà. Passando in rassegna temi e problemi del momento, il presidente della Cei coglie con realismo le diverse e potenti forze disgregatrici all’opera in Italia e sullo scenario internazionale. Ma nello stesso tempo guida alla riscoperta del bandolo di una complessa matassa. E con quel filo, solo apparentemente fragile, indica la via per «costruire ponti», o se si vuole per ricucire il tessuto delle singole comunità e della società tutta intera.Nelle parole del presidente della Cei, innervate da profonda sintonia con il magistero di papa Francesco, si può ritrovare infatti il principio unificante per trasformare il travaglio del presente in nuova linfa per il futuro, le sfide e i pericoli in grandi opportunità. La Chiesa, ricorda infatti Bagnasco, è desiderosa di «servire l’ora presente costruendo ponti, come esorta e fa il Santo Padre». Un paradigma di comportamento, oltre che una dichiarazione di intenti, una via da percorrere con slancio e convinzione, come del resto le comunità ecclesiali della Penisola hanno già cominciato a fare (e non da ieri). Lo dimostrano ad esempio l’accoglienza data ai profughi, la vicinanza alle famiglie, specie le più bisognose e provate dalla crisi, la generosità di un impegno educativo che vede in prima linea diocesi, parrocchie e movimenti ecclesiali, la forza della testimonianza di amore verso tutti che arriva in alcuni casi fino al dono della vita, la chiarezza con cui si ricorda - sempre più spesso in totale e solitaria controtendenza - la verità delle relazioni affettive e della loro insopprimibile apertura alla fecondità della vita.Costruire ponti appare infatti come l’unico antidoto possibile alla lacerante potenza disgregatrice che assume a seconda delle situazioni gli inquietanti connotati del terrorismo e dello sconto di civiltà; di chi erige muri e scava fossati, per difendersi da supposte "invasioni"; di chi approfitta della disperazione dei tanti che fuggono da guerre, violenze, povertà o di chi «vuole cambiare le categorie elementari dell’umano» in nome di una autodeterminazione in definitiva annichilente di ogni identità; di chi interpreta la politica come eterno litigio e scontro, di chi sgretola il tessuto sociale costruendo quartieri anonimi e periferie invivibili, di chi finisce per mettere tra parentesi il proprio ruolo genitoriale, creando così quel vuoto in cui - grazie al concomitante sonno della ragione - nascono e crescono mostruose "curiosità". O infine di chi, per inseguire un desiderio naturalmente irrealizzabile, non esita a disgregare la stessa paternità e maternità all’interno di pratiche tragiche che trasformano le donne in contenitori e i bambini in «cose da produrre».Il volto di chi costruisce ponti, ricorda invece il cardinale, è proprio di chi, tenendo gli occhi fissi su Cristo, può guardare al mondo e all’umanità con altre categorie: accoglienza, integrazione, solidarietà, «relazioni benevole» e fraterne, gratuità. Ma tutto ciò, sembra suggerire la prolusione, sarà possibile solo con una intelligenza della realtà che tenga conto delle ragioni profonde di un’antropologia finalmente svelata nella sua essenza. Non a caso uno dei paragrafi centrali del discorso del presidente della Cei si intitola «Ridare il volto». Chi sgretola il volto degli altri lo cancella, spesso metaforicamente, talvolta – purtroppo – anche fisicamente, come tanti omicidi stanno lì a confermare. Chi costruisce ponti no. Nel volto degli altri vede non solo quello dei fratelli, ma il proprio. E sa che attraverso quell’opera spesso difficile, ingrata e faticosa passa l’unica strada possibile per risanare il volto della stessa umanità.
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