Il vero e buon diritto di chi verrà dopo
domenica 25 novembre 2018

All’ordine del giorno della politica italiana ed europea non ci sono soltanto le pur difficili Manovre che segnano l’avvio di ogni nuovo anno economico-finanziario degli Stati e dell’Unione. Continua, infatti, sia pure coinvolgendo soprattutto gli addetti ai lavori, il dibattito in ordine al problema del debito e al conseguente carico che ne deriva nei confronti di coloro che ancora devono nascere. Un problema dell’Italia, ma non solo del nostro Paese. E con esso si pone in modo sempre più chiaro e pressante una delicata questione che non è soltanto di carattere giuridico, ma chiama anche in causa l’etica. Titolari di un diritto sono soltanto gli uomini e le donne oggi viventi o anche coloro che non sono ancora nati?

A prima vista – sia pure in un’ottica alquanto semplicistica – la domanda parrebbe del tutto mal posta. Come è possibile che coloro che non esistono ancora 'abbiano diritti', tali da dovere essere garantiti dagli attuali viventi? Non è ciascun essere umano responsabile verso se stesso e verso gli attuali viventi e non nei riguardi di chi ancora non esiste? Il problema si è posto – ma soltanto a partire da epoche relativamente recenti – per quanto riguarda l’ambiente e le risorse della Terra, oggetto di una forte attenzione anche da parte del magistero della Chiesa e in particolare di papa Francesco (si pensi solo all’enciclica Laudato si’). Anche e tale riguardo si pone lo stesso problema: quali 'diritti' in termini di mantenimento di un ambiente che consenta una vita degna dell’uomo, possono essere riconosciuti ai non ancora viventi.

Vi è una palese contraddizione nel riconoscere da una parte i 'diritti' delle (non ancora nate) future generazioni – ma in nome di che cosa? – e nel negare invece tali diritti quando non più di ambiente si tratta, ma di politica economica e di bilanci. La questione si pone, in particolare, in ordine alla questione del 'debito': debito pubblico che inevitabilmente è anche debito privato perché non riguarda una generica ed estratta entità, lo Stato, ma i concreti cittadini, uomini e donne, che quel debito saranno domani costretti a ripianare (né potrebbero sottrarsi a questo obbligo se non scaricando su altri soggetti, costretti a prendere il posto degli inadempienti, la responsabilità di onorare il debito).

Il caso dell’alto, e costantemente crescente, debito pubblico in Italia è per certi aspetti esemplare: si accrescono i benefici per gli attuali viventi e si tagliano drasticamente le risorse disponibili per i futuri cittadini. Si potrebbe obiettare che è giusto addebitare almeno in parte a essi gli oneri relativi alla realizzazione di opere di lunga durata (porti, acquedotti, strade, e così via), dato che anch’essi a loro volta ne usufruiranno, ma come legittimare, nell’ipotesi di beni non durevoli, destinati soltanto agli attuali cittadini, il fatto che oggi si consumi gratis e domani altri debbano far quadrare i conti? Si pone, in questa prospettiva, il problema del rispetto del principio-responsabilità che, per non ridursi a una generica astrazione, implica uno sguardo di lungo periodo e l’attenta valutazione non solo degli effetti, positivi o negativi, di determinate scelte sulla vita delle attuali generazioni, ma anche delle ripercussioni che quelle stesse scelte avranno su quanti verranno al mondo nel prossimo futuro.

Vi è dunque da domandarsi se la via dell’indebitamento – già percorsa, in verità, in passato, ma non nelle dimensioni che ora si annunziano – sia compatibile con il rispetto dei diritti di coloro che nasceranno nel prossimo futuro. Percorrere irresponsabilmente la via dell’indebitamento, non rappresenta una clamorosa negazione del principio di giustizia? Avvantaggiare gli attuali viventi e sacrificare le future generazioni appare, in questa prospettiva, un’inaccettabile forma di egoismo di parte.

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