martedì 8 dicembre 2015
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L’opposizione unita mette in questione il regime «chavista» «Hoy ha comenzado el cambio», oggi è iniziato il cambiamento... È lo slogan che, nelle vie di Caracas e del Venezuela, saluta con speranza il risultato elettorale che, dopo 17 anni di strapotere del chavismo, ha portato i partiti d’opposizione, riuniti nella Mesa de unidad democratica, a ottenere la maggioranza dei seggi nell’Asamblea nacional.  Per il Psuv – il partito socialista fondato dal comandanteHugo Chavez (salito al potere nel 1999 e scomparso nel 2013) ed ereditato dall’attuale presidente Nicolás Maduro –, è una sconfitta storica, visto che in tre lustri aveva perso solo un referendum costituzionale, nel 2007. Allora ad affossare il governo fu soprattutto la classe media e imprenditoriale, ostile a un regime che l’ha osteggiata e impoverita con restrizioni ed espropri. Stavolta è stato un voto castigo ben più ampio. Alle urne si è recato infatti il 75% dei 19,5 milioni di elettori, su 30 milioni di abitanti: un afflusso definito 'straordinario'. A invocare il cambio di rotta è stato el pueblo de las colas, cioè i cittadini stanchi delle interminabili file quotidiane per acquistare un rotolo di carta igienica o un chilo di farina di mais in supermercati sempre più vuoti. Poscia, si potrebbe dire parafrasando Dante, più che la retorica neobolivariana potè il digiuno, per un popolo logorato dal vivere in un Paese dove, nonostante i ripetuti proclami ideologici, il malgoverno e la corruzione divorano i lauti introiti dell’industria petrolifera, l’inflazione galoppa verso il 200% e il dollaro è quotato sul mercato nero 145 volte in più del suo 'valore legale'. Una crisi che, sommata al dilagare della criminalità (sequestri, rapine e un tasso di omicidi con pochi eguali nel mondo) ha convinto elettori pure nei ranchos, i quartieri popolari roccaforte del chavismo. Nell’insofferenza generale ha pescato l’opposizione, superando le divisioni e traendo forza dalla campagna di repressione del governo nei confronti degli avversari: fra i leader della Mud spicca Lilian Tintori, moglie di Leopoldo López, economista e politico detenuto con altri 75, a fronte di accuse fumose. Il trionfo della Mud sarà l’epitaffio della revolución chavista? I 99 seggi già conquistati (su 167 totali), le consentiranno di legiferare e controllare l’attività dell’esecutivo. E se davvero avesse raggiunto quota 112, ossia i due terzi (come assicurano i suoi leader, in attesa dell’assegnazione degli ultimi 22 seggi) potrebbe convocare una Costituente, indire un referendum sul presidente e incidere su nomine delle alte magistrature e del Tribunale supremo di giustizia. Ciò vuol dire che, fino alle presidenziali del 2019, la coabitazione col governo non sarà agevole, col rischio di uno scontro fra poteri. Maduro ha riconosciuto la sconfitta, ma non sembra intenzionato a lasciare anzitempo. E i prossimi giorni e mesi saranno rivelatori della difficoltà della coabitazione e delle possibilità di risollevare il Paese dalla crisi economica o, al contrario, d’inasprirla sul piano politico e sociale.
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