martedì 26 ottobre 2010
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C’è un allarme semiclandestino che circola nelle aule parlamentari, in queste ore decisive in vista del varo del documento di finanza pubblica per il 2011, oggi noto come "legge di stabilità". È l’allarme sui tagli ad alcuni importanti capitoli della spesa sociale e assistenziale, lanciato da parlamentari di diversi schieramenti – maggioranza compresa – e documentati con grande evidenza su queste colonne fin da sabato scorso. Sono in ballo, lo ripetiamo, voci di rilevante valore solidaristico, in favore di categorie e gruppi di cittadini in cronica difficoltà.Parliamo, tra l’altro, del fondo di 400 milioni per i non autosufficienti che viene totalmente azzerato, del fondo speciale per il finanziamento della social card drasticamente ridotto, degli stanziamenti a sostegno delle politiche familiari gestiti dal Dipartimento competente di Palazzo Chigi e delle risorse per le politiche giovanili, ridimensionati entrambi a livello poco più che simbolico. Si tratta, insomma, di sforbiciate di grande impatto, quasi sempre ben superiori a quel 10 per cento fissato dalla regola dei cosiddetti "tagli lineari", che il governo ha imposto attraverso la manovra estiva a tutti i ministeri, con la sola eccezione di università e ricerca. Nel complesso, dovrebbero sparire dal "portafoglio-uscite" in favore delle persone più svantaggiate e delle già strasacrificate famiglie, parecchie centinaia di milioni di euro.L’allarme, tuttavia, sta suonando sia dentro che fuori il Palazzo molto in sordina, si direbbe anzi in maniera quasi impercettibile (almeno per chi non figura tra i nostri lettori). Gioca di sicuro, in questo vuoto pressoché totale di risonanza mediatica, la rivoluzione legislativa che, dopo oltre trent’anni, ha cancellato dalle liturgie parlamentari lo psicodramma della "legge finanziaria": di fatto, la griglia dei conti pubblici per il prossimo anno è già stata blindata con il citato decreto estivo e gli spazi di intervento in questa fase sono molto limitati. Di qui, probabilmente, la scarsa attenzione per i lavori delle commissioni che stanno esaminando le tabelle e gli stanziamenti.Per di più, le nuove norme sulla contabilità nazionale, varate l’anno scorso, hanno modificato anche la nomenclatura delle diverse voci di entrata e di spesa, inducendo a possibili fraintendimenti che però, a maggior ragione, sarebbe opportuno chiarire. Lo stesso vale per la possibilità che le riduzioni stabilite a carico degli enti e delle amministrazioni centrali dello Stato vengano compensate, almeno in parte, da interventi sostitutivi delle Regioni o dei Comuni: ce ne saranno? E chi lo sa? Ma diciamo la verità, con la mannaia già calata nei mesi scorsi sul collo dei governatori (una "botta" da quattro miliardi di minori trasferimenti l’anno, per il biennio 2011-2012) è illusorio sperare che l’eventuale recupero possa raggiungere un livello significativo.Il peggio è che, secondo il calendario di Montecitorio, il tempo per rimediare al danno che si sta producendo è già ridotto al lumicino. Oggi a mezzogiorno scade il termine per presentare proposte di modifica in sede referente e non risulta una qualche disponibilità del governo a prendere in considerazione modifiche di sostanza. Tutto viene rinviato all’ormai tradizionale "decretone" di fine anno: il cosiddetto "mille proroghe". In quella sede, si dice, in base alle risorse che si renderanno disponibili, si potranno aprire nuovi filoni di spesa. Ma il rischio è quello di un’ennesima battaglia all’arma bianca tra ministri e potentati vari, nella quale gli interessi dei nuclei familiari e delle categorie più svantaggiate finiranno nuovamente sacrificati.
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