venerdì 27 luglio 2012
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​Sono bastate poche parole di rassicurazione, pronunciate dal presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ieri a Londra, per far vivere ai mercati una giornata memorabile. Quel «siamo pronti a tutto per salvare l’euro» è stato capace di far crollare lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi di quasi 50 punti in poche ore e di liberare le Borse dal cappio della speculazione ribassista determinando rimbalzi più che incoraggianti (+5,6% Milano, +4,1% Parigi, +2,8% Francoforte). Una boccata d’ossigeno necessaria, considerato quanto pesa sulle casse pubbliche il maggiore costo del finanziamento del debito dovuto agli alti tassi dei buoni del Tesoro, ma che non deve spingerci a ritenere improvvisamente superati i problemi dell’Eurozona o a trarre conclusioni affrettate. Draghi ha detto quello che i mercati avevano bisogno di sentirsi dire da mesi: cioè che l’euro è irreversibile, che la banca centrale è pronta a tutto per difenderlo, che l’Eurozona è più forte di quello che si ritiene, che è impensabile lasciar uscire un Paese dalla moneta comune, che i meccanismi di difesa ci sono e sono pronti a funzionare meglio che in passato. E, infine, che l’area euro ha bisogno di più unione. È evidente che Draghi ha potuto sciogliere questa riserva comunicativa una volta accertato di poter contare su un via libera politico diffuso e sostanziale; ma, allo stesso tempo, pur dicendo che la Bce ha già il mandato per intervenire, ha voluto sollecitare l’attribuzione di maggiori poteri all’istituto, perché solo con una banca centrale degna di questo nome un’unione monetaria può reggersi e reggere agli attacchi. A prescindere da quali saranno le conseguenze tecniche di questi annunci, si impongono alcune considerazioni.La reazione dei mercati alle parole di Draghi, per prima cosa, ci ricorda come i problemi dell’Eurozona in questo momento nascano essenzialmente da una crisi di fiducia e di credibilità. È sufficiente lasciar capire che c’è qualcuno a fare la guardia all’euro per riportare un minimo di serenità sui mercati e rendere meno oneroso il costo del risanamento dei Paesi nel mirino. Una lezione importante, se si considera che gran parte dei problemi nasce proprio dalla perdita di tempo e dai tentennamenti dei leader europei nella ricerca di risposte alla crisi, oltre che dalle parole avventate di tanti politici in cerca di piccoli tornaconti locali qua e là per l’Europa.In secondo luogo, se si è dimostrata decisiva l’immagine di un’Europa capace di parlare con una voce sola, autorevole e forte, non si può non sottolineare l’anomalia di un continente nel quale a tenere insieme i pezzi della casa comune sia il capo della banca centrale, non una guida politica democraticamente eletta. La distorsione è insita nel fatto che l’Eurozona non coincide con l’Unione, ma constatarlo dovrebbe convincere gli elettori europei a considerare quanto sia importante raggiungere in fretta anche l’unione politica, non solo quella bancaria, economica e monetaria.Terzo rilievo: una buona giornata sui mercati non indica la fine delle difficoltà. Anzi. In questo momento tutti guardano giustamente agli spread, perché rappresentano la misura della distanza tra i Paesi, e il loro ampliamento non fa che avvicinare al punto di rottura l’Eurozona. Ma a preoccupare maggiormente dovrebbe essere l’acuirsi della recessione, l’allungamento dei tempi di durata della crisi economica e la diffusione del contagio, a causa delle misure di risanamento e di tagli imposti come "cura" ai Paesi più deboli. Una crisi reale che colpisce violentemente l’Italia, la Spagna, la Grecia, il Portogallo, ma che si è già estesa alla Gran Bretagna, e nei prossimi mesi toccherà inevitabilmente altri, Germania compresa. I segnali ci sono già e le ricadute saranno molto dure da sopportare, con prevedibili rigurgiti anti europei, e non solo.L’ultima considerazione è legata proprio agli effetti della recessione e alla capacità della classe dirigente europea di fornire risposte adatte a fronteggiare la nuova emergenza, gli effetti sulla società, le persone, le famiglie. Dopo cinque anni di crisi ininterrotta, di guasti prodotti dagli eccessi del liberismo e dello statalismo, sarebbe un grave errore illudersi che a salvare l’Europa e la sua gente, e ad assicurare anche la stabilità sociale, bastino la ripresa delle Borse e il rientro degli spread. Ignorando il senso e l’importanza di lasciare invece campo libero all’alternativa di quell’economia di mercato che si mette al servizio della società.
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