mercoledì 11 novembre 2015
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Anche il vecchio don Camillo del Guareschi è uscito dal bianco e nero dello schermo per entrare nel vivo della multiforme realtà. Ecce homo: «Guardatelo e lasciate che vi guardi». Semplicemente dirompenti e liberanti le parole di Francesco dall’antica e creativa città della bellezza. All’assemblea fiorentina della Chiesa italiana il Papa non ha consegnato il pacchetto di un ennesimo progetto, non ha impalcato nessuna rifondazione, non ha complicato la vita a nessuno.Come un accorto pittore ha solamente tolto la fuliggine dall’affresco del volto di Cristo per far risplendere le Sue sembianze. Perché sono solo i «sentimenti di Cristo» che fanno bella la Chiesa. E così, senza intentare processi al passato, il Successore di Pietro ha dismesso per via di attrazione linee di pensiero e riflessi condizionati. Finis terrae di ogni meccanismo mentale con ossessioni di pianificazione, organizzazioni strategiche, preservazione di pretesi surrogati di potere e di ogni personale gloria. «Non voglio qui disegnare in astratto un "nuovo umanesimo" - ha detto - una certa idea dell’uomo, ma presentare con semplicità alcuni tratti dell’umanesimo cristiano che è quello dei "sentimenti di Cristo Gesù"». E sono proprio i tratti essenziali di «umiltà, disinteresse, beatitudine» a essere indicati da Francesco non solo come autentico umanesimo cristiano, ma come costituzione stessa del corpo ecclesiale.Nient’altro che l’essenziale.E un’unica via: «Perseguire la gloria di Dio, che non coincide con la nostra» e che non può non impastarsi con le realtà, con le gioie e le sofferenze del prossimo, privilegiando i poveri. Una via che inevitabilmente si smarca così da ogni retaggio di fondamentalismo o di intimismo soggettivista. Quella di uomini, insomma, non "cristiani di parole", non superficiali come gli gnostici o rigidi come i pelagiani. E i pericoli del pelagianismo (che porta ad avere fiducia non nella Grazia, ma nelle strutture e «ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività») e dello gnosticismo (una fede rinchiusa nel soggettivismo) sono anche le uniche due «tentazioni», di matrice ereticale, da cui ha messo in guardia Francesco nel suo discorso alla Chiesa italiana sotto le volte di Santa Maria del Fiore. «Ne dico due - ha detto scherzando a braccio - non quindici come quelle riferite l’anno scorso alla Curia». Riprendendo papa Ratzinger, infatti, non è stata certo questa la prima volta che ne ha parlato. Ma questa volta appaiono soprattutto per ricordare, fortiter et suaviter, che la Chiesa semper reformanda è aliena dal pelagianismo e che «la dottrina cristiana non è un sistema chiuso» incapace di generare domande, ma è viva, inquieta, anima. «Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera» perché «si chiama Gesù Cristo». Per non cadere in queste tentazioni, che rendono refrattari al soffio leggero dello Spirito, Francesco ha ridestato alla memoria la storia della nostra tradizione ecclesiale segnata da grandi santi: da Francesco d’Assisi a Filippo Neri, «il cui esempio può aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia» e con vicinanza alla gente. Non c’è da inventarsi chissà che. Due sole sono anche le raccomandazioni che ha fatto: quella dell’inclusione sociale dei poveri e la capacità di incontro e di dialogo. Se il Papa insiste sul dialogo è perché «dialogare non è negoziare», ma è cercare il bene comune per tutti e il confronto «aiuta a preservare la trasformazione della teologia in ideologia». Ai vescovi ha chiesto una cosa sola: «Siate pastori. Non di più… Quello che fa stare in piedi un vescovo è la sua gente». Quindi su cosa si deve fare Francesco ha rigirato la domanda: «Spetta a voi decidere, popolo e pastori insieme». Per tutto non occorre altro che seguire il Vangelo. È questo oggi il sogno aperto di una Chiesa italiana madre con le sembianze di Cristo.
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