Il sigillo e le svolte sulla via di Benedetto
domenica 16 aprile 2017

Benedetto XVI nacque il 16 aprile di novanta anni fa, sabato santo. Nella stessa mattina di quel giorno Joseph Ratzinger venne battezzato nell’acqua lustrale appena benedetta e questo era un ulteriore sigillo di grazia impresso sulla sua vita nella quale le svolte decisive sono state accompagnate dal mistero pasquale, da una luce che ancora non rifulge nella sua pienezza, ma nella fede promette vita e incontro con il Signore risorto. Una prima svolta si ebbe la mattina del 5 aprile del 1946 nella cattedrale di Ratisbona dove, a conclusione del semestre invernale, il cardinale Michael von Faulhaber volle celebrare una Messa pontificale in suffragio degli ecclesiastici morti in guerra. Colpiva in particolare il numero dei 72 giovani defunti del seminario maggiore. Erano quasi pari ai sopravvissuti di modo che, secondo una definizione della Pasqua, uno era stato sacrificato, l’altro risparmiato, restituito alla vita per testimoniare la gloria di Dio. La circostanza colpì profondamente i giovani tra i quali vi era il futuro pontefice il quale ne trasse la conclusione: dato che sono potuto ritornare posso solo ringraziare Dio, e sempre di nuovo ringraziare e servire i fratelli.

Nuova svolta nel 1977. Dopo gli anni confusi della contestazione giovanile e il trasferimento a Ratisbona, il professor Ratzinger ha riguadagnato la serenità. Nella città sul Danubio si è fatto costruire una casa dove vivere con i fratelli, ha ormai messo a punto il suo metodo teologico e pregusta già la gioia di scrivere una esposizione compiuta del suo pensiero. Ma non era quella la volontà di Dio. Papa Paolo VI gli chiede di scendere dalla cattedra del professore per salire su quella del vescovo ed egli è titubante. Alla fine accetta e prova la gioia di non vivere più per se stesso «ma per Lui e, dunque, per tutti». Qualche anno dopo è il nuovo pontefice, Giovanni Paolo II, che lo vuole accanto a sé. Ratzinger vorrebbe continuare il lavoro pastorale appena avviato nell’amata Monaco, ma non si sente di rispondere con un rifiuto dopo che il Papa venuto dalla Polonia è stato così gravemente ferito in piazza san Pietro. Sa già, tuttavia, che l’impegno che l’attende alla Congregazione per la dottrina della fede richiede sacrificio e dedizione, immolazione per il bene della Chiesa. A metà degli anni Ottanta il cardinale Ratzinger scrisse un famoso saggio sul ministero del successore di Pietro, impegnativo fino al martirio. Non immaginava che, un giorno, a sua volta sarebbe stato chiamato a quella testimonianza.

E, invece, il 19 aprile del 2005 egli stesso annunciava ai fedeli al mondo: dopo il grande pontefice Giovanni Paolo II, i cardinali hanno eletto un semplice e umile «lavoratore nella vigna del Signore». Scelse il nome di Benedetto XVI richiamandosi al padre del monachesimo occidentale, al suo programma di preghiera e lavoro, soprattutto alla sua raccomandazione di nulla anteporre a Cristo. Fu questa la stella polare del suo pontificato durante il quale dovette portare la croce degli abusi sessuali da parte dei sacerdoti richiamando la Chiesa intera alla riforma, proponendo l’esempio dei santi, di quanti hanno cercato con la loro vita di rendere credibile il Vangelo. L’ultima svolta, compiuta ancora una volta nel segno del mistero pasquale, fu quella delle dimissioni date non come resa o come protesta per una croce divenuta troppo pesante, ma con senso di responsabilità seguendo fede e ragione, i due cardini del suo pensiero e della sua vita. E la conferma è venuta dalle scelte successive di colui che era oramai il Papa emerito. Egli non si ritirava a vita privata, ma sceglieva di rimanere «nel recinto di Pietro», per essere vicino al suo successore, per accompagnarlo con la sua preghiera.

E ai fedeli prometteva: «Non sono più il sommo pontefice della Chiesa cattolica... ma vorrei ancora con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera... lavorare per il bene della Chiesa e dell’umanità». Alcuni sono rimasti delusi da queste scelte così poco in linea con l’acrimonia del nostro tempo. Le immagini, tuttavia, prima ancora delle parole sono sotto gli occhi di tutti. Il successore papa Francesco e il precursore Benedetto si stimano e si vogliono bene, i fedeli guardano con affetto nuovo al Papa emerito che trascorre il suo tempo nella preghiera, nella lettura, nell’attesa di incontrare Gesù. E ora, Santità, non se l’abbia a male se, porgendole gli auguri per le due feste di Pasqua e del compleanno, che quest’anno con profondo significato teologico vengono a coincidere, chiediamo al Signore di tenerla ancora per qualche tempo con noi. Troppo bella è la sua testimonianza per la Chiesa, troppo salutare per gli uomini tutti la sua presenza silenziosa, la sua sapienza evangelica.

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