Il serissimo «gioco» dei beni pubblici
mercoledì 15 novembre 2017

A distanza di qualche tempo e al di là dei proclami politici, non è forse inutile annotare che il risultato dei referendum in Lombardia e Veneto di domenica 22 ottobre 2017, che ha evidenziato una forte spinta autonomista dei cittadini di quelle regioni, rappresenta un fallimento per tutti. Veneti e lombardi inclusi. L’unità nazionale, del popolo italiano, rappresenta infatti un bene pubblico, nel senso tecnico in cui gli economisti declinano il concetto.

Un bene, cioè, che produce benefici per tutti, che viene prodotto con il contributo di tutti, ma che è soggetto a comportamenti opportunistici da parte dei cosiddetti free-riders: quelli che usano il tram ma non pagano il biglietto, quelli che godono dei benefici pur non avendo contribuito alla produzione del bene. Per spiegare la logica che governa situazioni di questo tipo si ricorre abitualmente al cosiddetto “gioco dei beni pubblici”: ogni partecipante può decidere se investire, e quanto, delle proprie risorse nella produzione comune.

Quanta farina e quante uova, per esempio, portare da casa propria per cucinare insieme agli amici una torta per una festa. Se ognuno “investe”, porta, cioè, gli ingredienti, uscirà fuori una torta bella grande che poi verrà spartita tra tutti i partecipanti. Se tutti cooperano, si ottiene una torta più grande e tutti sono sazi. Ma se qualcuno porta gli ingredienti e qualcun altro invece no, allora si cucinerà una torta un po’ più piccola che però, anche in questo caso tutti potranno mangiare; sia coloro che hanno contribuito, che coloro che non hanno portato niente.

Naturalmente in questo caso si sarà un po’ meno sazi, alcuni avranno avuto costi e benefici, altri invece solo i benefici senza i costi. Questo spingerà anche i più volenterosi, di fronte all’opportunismo di pochi, a mettere in discussione il loro comportamento e, festa dopo festa, a non portare più nessun ingrediente, e così, dopo un po’ le torte preparate insieme saranno solo un lontano ricordo. La ricerca individuale del massimo beneficio, cioè mangiare la torta senza portare gli ingredienti, produce la distruzione del bene stesso.

Ecco, dietro il risultato del referendum, e ad alimentare le forze centripete che si diffondono sempre più forti in regioni come il Veneto, la Lombardia, ma anche l’Emilia-Romagna e la Sardegna, si intravvede la crisi della logica del bene pubblico che, se assecondata, porterà alla lunga un danno per tutti. Perché le regioni del Nord non vogliono più portare la loro quota di ingredienti? Non è solo una questione di egoismo individuale, di regionalismi auto-interessati, sarebbe troppo semplice e riduttivo liquidare in questo modo una questione complessa. C’entra molto anche il comportamento di chi per anni ha fatto, o è sembrato facesse, il free-rider, lo scroccone.

Quando si paga per avere qualcosa che altri hanno gratis, nasce istintivamente una reazione che, mostrano gli studi comportamentali, può indurci anche a punizioni costose. Siamo disposti, cioè, a sopportare dei costi personali, pur di punire coloro che hanno violato le regole del gioco. Dietro al voto lombardo-veneto del 22 ottobre 2017 non è difficile rinvenire tracce di questa “punizione”. E qua sta il punto cruciale: le spinte disgregatrici trovano facile terreno di coltura nella percezione, spesso costruita o quantomeno enfatizzata mediaticamente, di una ingiustizia subita. Questa cultura della differenza, del particolarismo, dei muri e degli orizzonti bassi è il segno evidente di un fallimento profondo della politica di questi anni.

Dei diversi governi nazionali che hanno perso tante opportunità per cercare di ridurre nei fatti, ma anche nella narrazione dello spirito di un popolo, il divario tra regioni del Nord e quelle del Sud. Non solo in termini di ricchezza, ma anche di opportunità, di qualità dei servizi, nelle infrastrutture, di inclusione: un caso per tutti quello della scuola. Basta dare un’occhiata alle differenze scandalose che ogni anno emergono dai vari test Pisa o Invalsi sulle competenze dei giovani studenti. Ma è un fallimento anche quello delle regioni del Sud che si sono date a più riprese governi locali di basso spessore, che hanno prodotto una classe dirigente non all’altezza delle sfide. Che hanno bruciato nella fornace dell’inefficienza risorse preziose alimentando malaffare e annichilendo le energie migliori.

Il fallimento, e non in misura minore, coinvolge anche quelle regioni del Nord nelle quali ancora si esulta per il risultato referendario ottenuto e si vede legittimata dal voto popolare la pretesa di liberarsi della “zavorra” del Meridione. Sarebbe importante ricordare a coloro che vedono nella divisione la soluzione, che il limite ultimo della separazione è l’individuo e che a furia di rincorrere i particolarismi si rimane, come il “gioco dei beni pubblici” insegna, a bocca asciutta; perché l’unità, è utile ricordarlo, è un bene per tutti, i più deboli e i più forti. La retorica della separazione non può che portare, alla lunga, a una cultura dove le persone disimparano a fare le cose insieme, col rischio, assai concreto, di ritrovarsi infine intrappolati, come affermava Graham Greene, «nella peggiore delle prigioni possibili, il proprio io».

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