venerdì 26 febbraio 2021
Un potere centrale forte e dirigista, guidato dai migliori giovani formati nelle scuole sotto la tutela del ministero della Difesa. Perché vacilla il modello della «grandeur»
Il ruolo delle élite in Francia pesante eredità bonapartista

Ansa

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Osservando una foto dall’alto di Parigi, risalta un’unica spianata centrale che non sia un’area di passeggio o un cimitero. La vista si è posata sull’Esplanade des Invalides, che dalla Senna guida lo sguardo verso il cupolone dorato più famoso di Francia, sotto cui giace Napoleone Bonaparte. Scorrendo poi i nomi delle stazioni ferroviarie parigine, cuori pulsanti della capitale, è facile constatare quale sia l’unico evento storico direttamente evocato, ovvero la Battaglia d’Austerlitz (2 dicembre 1805): quella in cui gli austro-russi capitolarono contro un 36enne già imperatore, Napoleone Bonaparte. Di nessun altro restano a Parigi tracce così ubique, come le 'N' su facciate e ponti.

Ma in questo 2021 tormentato, come commemorare il condottiero e autocrate più esaltato e odiato dell’era contemporanea, di cui ricorre il bicentenario dalla mesta morte in esilio sull’isola britannica di Sant’Elena, sperduta nell’Atlantico? Da tempo la Francia rigira nervosamente la questione, come se si trattasse d’un cubo di Rubik. Almeno per tre ragioni diverse, tutte spinose. Innanzitutto, Napoleone resta una figura scomoda, per le vampate di brutalità e le razzie di cui l’era napoleonica fu costellata in Europa, ma anche per la reintroduzione nel 1802 della schiavitù e della tratta nelle colonie francesi. Senza prestare ascolto a certi pamphlet provocatori che paragonano anacronisticamente il condottiero ai più foschi tiranni novecenteschi, nessuno si sognerebbe oggi d’avallare in toto la vecchia leggenda del generale divenuto un elargitore dei valori illuministici e rivoluzionari.

In secondo luogo, non si sa bene cosa converrebbe celebrare, tanto la figura di Napoleone fu proteiforme, con sfaccettature chiare e scure. Troppo riduttivo limitarsi al genio militare, anche perché 10 anni dopo Austerlitz giunse Waterloo. A livello politico, invece, Napoleone cavalcò il mito rivoluzionario, ma insediando poi nuove caste, fra nepotismo in tutt’Europa dei rami familiari e titoli nobiliari assegnati a generali e altri protetti. Fra i tre «grandi uomini» più citati della storia francese, Napoleone è il più complesso. Al confronto, il seicentesco «Re Sole» Luigi XIV rappresentò la vetta d’un modello tanto avversato, ma compreso da tutti, l’assolutismo. Mentre il novecentesco Charles de Gaulle, come militare e statista, è associato oggi dai francesi soprattutto alla capacità provvidenziale d’estrarre il Paese dalle più funeste sabbie mobili della sua storia. Quanto a Napoleone, demiurgo furente e portentoso, bravo davvero chi riuscirà un giorno a catalogarlo.

Ma a complicare vertiginosamente le celebrazioni del bicentenario napoleonico è pure una terza ragione, più profonda. La Francia del nuovo millennio, guidata oggi dal presidente Emmanuel Macron nel solco della Quinta Repubblica, resta intrisa di bonapartismo. Non più il bonapartismo in senso stretto, ovvero l’auspicato ritorno al potere degli eredi dinastici di Napoleone I e di suo nipote Napoleone III. Ma un bonapartismo più pervasivo: l’ideale d’un potere centrale forte e dirigista rispettato a livello militare, così come capace di fabbricare consenso grazie a schiere d’amministratori e strateghi, anche economici, frutto d’una selezione meritocratica delle intelligenze disponibili. Vista così, l’eredità napoleonica sovrasta la semplice somma di luoghi e simboli memoriali, o di lasciti nel gusto decorativo (stile Empire). Più che nelle vetrine degli antiquari, un certo bonapartismo persiste nel funzionamento istituzionale e politico-sociale.

Basti pensare al sistema verticistico delle grandes écoles (grandi scuole), che pesca nuove energie e intelligenza per la nazione fra coloro che familiarmente i francesi chiamano 'bestie da concorso' ( bêtes à concours): brillanti liceali, ambiziosi ben più che sgobboni, pronti a instradarsi verso gli speciali 'piani alti' sociali ultraprotetti sponsorizzati con i mezzi dello Stato. Ogni anno, un rituale si ripete: poche centinaia di ventenni catapultati subito in posti chiave, con remunerazioni già mirabolanti. Tutti usciti da una ristretta cerchia d’istituzioni educative speciali a numero chiuso nei campi dell’amministrazione pubblica, del management e dell’ingegneria, all’insegna dei valori che Napoleone mise al centro del sistema francese: giovanilismo, intelligenza applicata, febbre di conquista, fedeltà e abnegazione per la grandeur nazionale. Fra queste fucine di nuovi 'ussari', tre suscitano più di altre sentimenti misti d’ammirazione e ostilità, fra i francesi: l’Ena (alta amministrazione), Hec (management, affari) e l’École Polytechnique, detta anche X, scuderia d’ingegneri che nel 1804 proprio Napoleone mise sotto la tutela dell’Esercito, conferendole il motto: «Per la Patria, le Scienze e la Gloria».

Da una parte, ufficialmente, le grandes écoles selezionano i più capaci e motivati, funzionando da 'ascensore' ultrarapido per rinnovare l’alta amministrazione, i gabinetti e vertici ministeriali, le stanze dei bottoni d’agenzie pubbliche e grandi gruppi economici. Ma dall’altra, gli effetti indesiderati sono sotto gli occhi di tutti: spirito di casta fra i promossi, Dna culturale 'monocromatico' di palazzi e piani alti del potere, subalternità delle università standard in termini di sbocchi professionali, minorazione del valore dell’esperienza professionale (per far carriera) rispetto ai titoli di studio delle grandes écoles. Di recente, pure un’inflazione dei costi d’iscrizione, specie per Hec.

Dall’Ena, sono usciti gli ultimi due presidenti francesi, compreso Macron, transitato anche per Sciences Po, altra istituzione criticata per il suo elitismo. Ma l’ascensore speciale vale pure per diventare top manager di una grande azienda. Secondo un recente studio dell’agenzia Recto Versoi per il quotidiano economico 'Les Échos', fra i 60 più alti dirigenti dei gruppi del Cac 40 (l’indice dei 40 titoli principali alla Borsa di Parigi), ben 12 sono ingegneri dell’École Polytechnique, contro 10 promossi dell’Ena e 9 di Hec. Più della metà dei posti, dunque, per il controverso trio XEna- Hec, sullo sfondo di un 90% per l’insieme delle grandes écoles. Quanti altri Paesi occidentali hanno un’élite economico-finanziaria uscita in primis da un’istituzione superiore di stampo militare, sotto la tutela del Ministero della Difesa?

Anche tramite questo sistema di selezione delle élite, un certo bonapartismo irriga i vertici francesi, che amano condire di 'ambizione' ed 'eccellenza' ogni discorso pubblico: puntare verso l’alto, coltivando «una certa idea della Francia», come ripetono i capi dell’Eliseo. Anche a costo di suscitare, fra le altre cancellerie, l’impressione di una sorta d’arroganza francese. Anche a costo d’accrescere il fossato percepito dalla Francia popolare, che nutre sentimenti molto ambivalenti per i cosiddetti «tecnocrati» al potere. Non a caso, in questa chiave è stata letta di recente pure la burrascosa crisi politico-sociale dei gilet gialli.

Erede di Bonaparte pure sul piano giuridico (Codice civile napoleonico) e pronta a gratificare simbolicamente i migliori tramite un’altra istituzione voluta da Napoleone (l’Ordine della Légion d’honneur), la Francia resta un terreno fertile per politiche e pensieri venati di bonapartismo. Lo si nota anche in campo economico, quando c’è da far valere l’interesse nazionale, persino nel perimetro dell’Unione Europea. Per molti aspetti, l’ha appena mostrato pure il caso dei Cantieri navali dell’Atlantico, sull’estuario della Loira, sfuggiti alla fine fatalmente alle mire dell’italiana Fincantieri, fra gli applausi compiaciuti di tanti politici transalpini. Attorno al fatidico 5 maggio, Covid permettendo, cerimonie, conferenze e altri eventi non mancheranno affatto, con pompa e discorsi sempre finemente soppesati. Quanto a fare i conti fino in fondo con l’eredità napoleonica, resta ancora per la Francia un altro paio di maniche.

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