Il rosso Natale dei cristiani
giovedì 30 dicembre 2021

Un altro Natale in trincea. La metafora bellica poco si addice a persone più abituate a subire il martirio che a portare l’offesa, ma questa è la realtà quotidiana per milioni di cristiani (per essere più precisi 309 milioni, ovvero un cristiano su otto secondo la World Watch List per il 2021) in molte parti del mondo. I numeri che lo dimostrano sono abbondanti: 4.761 cristiani uccisi nei cinquanta Paesi più ostili, 4.488 cristiani arrestati e imprigionati, 4.277 chiese o edifici religiosi distrutti. Ci sono i fenomeni nuovi, come l’incremento della persecuzione nell’Africa sub-sahariana: quasi tre volte più numerosi i cristiani uccisi quest’anno rispetto al 2020. E ci sono le tradizioni perverse, come quella della Corea del Nord, che da quasi trent’anni risulta essere il luogo più pericoloso al mondo per i cristiani. Il martirologio degli operatori pastorali uccisi nel 2021, in pubblicazione presso l’Agenzia Fides, darà di tutto questo ulteriore testimonianza.

Nel 2021 che si chiude, però, si sono segnalate con particolare asprezza due situazioni. La prima è quella dell’India. Anche in questo caso nessuna sorpresa: già l’anno scorso la Commissione Usa per la Libertà religiosa nel mondo piazzava il grande Stato asiatico nel primo gruppo di Paesi, il peggiore, quello che comprende anche Corea del Nord, Pakistan, Arabia Saudita e Cina.

Da lungo tempo, ormai, la Commissione nazionale indiana per le minoranze (sei gruppi sono riconosciuti: musulmani, cristiani, sikh, buddhisti, zoroastriani e Dharma jain, che insieme formano il 19% della popolazione) censisce ogni anno centinaia di attacchi violenti contro i non indù. Con l’arrivo delle festività natalizie, però, si è avuto un ulteriore salto di qualità. Gli attacchi dal basso non sono cessati, anzi: chiese occupate da estremisti religiosi, statue e arredi distrutti (come nella notte di Natale nella chiesa del Santo Redentore ad Ambala, Stato di Haryana), sacerdoti e pastori minacciati.

Ma sono stati affiancati dagli attacchi dall’alto, con il caso clamoroso del blocco dei conti delle Missionarie della Carità di santa Teresa di Calcutta, che ha lasciato le religiose, e soprattutto 22mila tra dipendenti e ospiti dei loro centri, in grande difficoltà. Le autorità parlano di presunte "irregolarità". Molti però pensano che il clima sia peggiorato da quando in otto dei ventotto Stati dell’India sono state approvate le cosiddette "leggi anti-conversione". Norme che, con il pretesto di proteggere gli indù dalla "tentazione" di cambiare religione offrono il destro per un accanimento contro le minoranze, come nel vicino Pakistan sospettabili anche in base a una voce di strada o alle dicerie di una folla. E la pena prevista è di 10 anni di carcere.

L'altro fronte caldo del 2021 è il Myanmar. Anche qui, purtroppo, nessuna novità: basti ricordare il pogrom del 24 dicembre 2019 contro i fedeli nella chiesa di Ann Township, nello Stato di Rakhine. Ma le cose sono molto peggiorate da quando, il 1° febbraio del 2021, i militari guidati dal generale Min Aung Hlaing hanno preso il potere con un colpo di Stato, il terzo dall’indipendenza del 1947, destituendo il presidente Win Myint e la consigliera di Stato, nonché premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi. Da allora, la repressione politica (più di 1.500 persone uccise, altre 4 mila imprigionate) ha non solo alimentato le frange estremiste del buddhismo, ma si è accanita contro la minoranza cristiana (4% circa della popolazione, con i cattolici intorno all’1%), colpevole di essersi mobilitata per alleviare le sofferenze di una popolazione che subisce il regime militare, la crisi economica e la pandemia ma anche le crudeltà della guerra civile, visto che ai generali da tempo risponde un tenace movimento di guerriglia armata. Così, alla vigilia di Natale, l’ennesimo massacro: 40 persone sono state uccise nello Stato a maggioranza cristiana del Khaya mentre cercavano di sfuggire agli scontri per rifugiarsi in un campo profughi. Secondo molte fonti, i militari avrebbero fucilato tutti, bambini compresi, e poi bruciato i corpi. Il cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia, ha più volte invitato le parti a rinunciare alla violenza e a lavorare per una soluzione condivisa, ma finora il suo messaggio drammaticamente non è stato ascoltato.

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