lunedì 2 febbraio 2015
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​«Vi sono due organi inutili: la prostata e il Presidente della Repubblica». L’acida battuta di Georges Clemenceau, il primo ministro che portò la Francia alla vittoria nella prima guerra mondiale, ma che nel 1920 non riuscì a farsi eleggere Capo dello Stato, è talora considerata lo sfogo di uno sfortunato aspirante alla magistratura suprema della Terza Repubblica francese, nella cui Costituzione venne inventata la carica di Capo dello Stato repubblicano in un sistema parlamentare che venne poi importata in Italia nel 1947. La battuta però va presa almeno in parte sul serio, anche per rileggere l’elezione del dodicesimo presidente italiano: da un lato, infatti, il profilo istituzionale del nostro Capo dello Stato risente del figurino disegnato dalle leggi costituzionali francesi del 1875, ma dall’altro esso se ne è allontanato nettamente nella prassi. Sicché il Presidente italiano si è rivelato, in questi quasi settant’anni, tutt’altro che un organo inutile. L’inquilino del Quirinale è invece diventato il motore di riserva del sistema istituzionale, oltre che l’arbitro di una partita di calcio assai rissosa, anche se non è mai divenuto un vero e proprio Capo del Governo per interposta persona. Il vestito istituzionale delineato nella Costituzione del 1947 è stato calzato in modi diversi dagli undici presidenti che si sono succeduti da De Nicola a Napolitano, con notevole capacità di adattamento alla realtà storica.Il percorso che ha portato all’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica – se letto con una prospettiva non schiacciata sulla politique politicienne – si è snodato attorno alla domanda: un Presidente politico o tecnico? La risposta della maggioranza degli operatori politici è stata in favore di un uomo politico di lunga esperienza, come sempre era accaduto negli scorsi decenni, con la parziale eccezione di Carlo Azeglio Ciampi. Ma come in gran parte dei casi del passato, la scelta è caduta su un politico dal profilo "istituzionale": e non è un caso che siano rimasti fuori profili dalla più marcata connotazione partitica (da Fassino a Veltroni, da Prodi a Chiamparino, troppo politici) e che d’altro canto – perché non politici – abbiano avuto poche chance i presidenti delle due assemblee parlamentari. Per la prima volta nella storia della Repubblica, ben cinque giudici costituzionali in carica o appena cessati dalla carica sono stati considerati "quirinabili" e alla fine la scelta è stata compiuta fra due membri della Corte costituzionale, Amato e Mattarella, entrambi portatori di quel profilo al tempo stesso politico e tecnico che è richiesto ai custodi della Costituzione. Per la prima volta il Capo dello Stato arriverà al Quirinale dal vicino palazzo della Consulta, percorrendo al contrario il cammino che il primo presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, percorse nel 1956 per insediarsi come primo presidente della Corte costituzionale.Il profilo che emerge è dunque quello di una figura politica e tecnica al tempo stesso: esattamente come lo è l’organo Presidente della Repubblica. Che è organo politico (è infatti eletto con una procedura tipicamente politica, anche se senza formali candidature), ma di garanzia, imparziale anche se politicamente sensibile, dell’equilibrio costituzionale.La domanda sul modo in cui Mattarella interpreterà il suo ruolo nei prossimi sette anni può trovare risposta attorno a questo filo rosso che lega la garanzia costituzionale e la politica "alta". Il bisogno di ritorno a una presidenza "normale", dopo gli anni dell’eccezionalità legati a Napolitano, sembra assai sentito nel mondo politico, con la sola nota stonata di alcuni ambienti grillini, nei quali si vorrebbe un Presidente capace di dire di "no" a leggi indesiderate, dimenticando che egli in realtà non dispone di un potere di veto assoluto sulle leggi e sui decreti. Ma ciò non significa affatto fare del Presidente quell’organo inutile di cui parlava Clemenceau, in quanto gran parte delle risorse della carica stanno nella sua capacità di influire silenziosamente sugli organi politici "attivi", smussando gli angoli e moderando i conflitti più gravi, senza diventare parte di essi.Questo compito sarà arduo nei prossimi anni. La difficile situazione economica e sociale, la perdurante crisi di legittimazione della politica italiana e i cantieri aperti della riforma elettorale e costituzionale spingeranno il Presidente a uscire dal suo Palazzo, come hanno fatto i suoi predecessori (soprattutto da Pertini in poi) e lo obbligheranno ad esporsi, se non altro perché alcuni lo accuseranno di inazione laddove vorrebbero una maggiore esposizione, mentre altri vigileranno su ogni sua possibile tracimazione. Ma forse l’esigenza principale che questa presidenza trova davanti a sé è quella di accettare un ruolo umile, che favorisca l’autonomia delle forze politiche e la loro responsabilità nella soluzione dei problemi, piuttosto che sostituirsi a esse secondo quel modello che "The Economist" ebbe a definire, qualche anno fa, con l’arguto titolo «Italy’s nanny» (La bambinaia d’Italia).Mattarella – sia per la tradizione culturale del cattolicesimo democratico, da cui proviene, sia per il suo profilo umano – ha le doti giuste per guidare il ritorno della Presidenza in un alveo di normalità che – pur non scivolando nell’irrilevanza – scommetta su una politica più capace di legittimarsi da sé e di autoregolarsi. Naturalmente resta sullo sfondo la ferrea regola dell’eterogenesi dei fini, che ha retto tutte le presidenze da Einaudi a Napolitano: quella che nessun Capo dello Stato ha svolto il suo ruolo come avrebbero voluto le forze politiche che lo scelsero e come la maggioranza dell’opinione pubblica si attendeva al momento dell’elezione. Ma forse, date le attese e la simpatia con cui Sergio Mattarella inizia il suo mandato, si può legittimamente sperare che questa volta la presidenza sia conforme a queste attese. Anche perché questo segnalerebbe che l’infinita transizione italiana procede finalmente verso la sua conclusione.
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