sabato 21 marzo 2009
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Ancora una volta, scandalo e ironie hanno fatto seguito al forte appello del Papa (così come è sempre avvenuto nei confronti dell’esigente etica della Chiesa) ad una sessualità responsabile come via maestra per affrontare seriamente il drammatico problema della diffusione dell’Aids. Ed ancora una volta si è indicata come via maestra quella che invece appare sempre più, anche sulla base di una valutazione scientifica del problema, una scorciatoia, e cioè il ricorso ai preservativi. Sullo sfondo di una querelle che sta imperversando un po’ in tutto il mondo e che ha fatto scomodare perfino ministri, e ministre, sta una forma di nuovo colonialismo culturale che da una parte considera i popoli africani come assatanati ricercatori di sesso e dall’altra i più evoluti popoli europei fornitori generosi e disinteressati di preservativi. È una visione riduttiva e unilaterale di uomini e donne capaci – come attestano luminosi esempi di monogamia fedele e di rigoroso celibato – di esercitare un pieno dominio sulle loro pulsioni sessuali e tutt’altro che condannati ad essere prigionieri di incontrollabili istinti: l’Africa reale non è quella degli spasmodici ricercatori di preservativi. Al centro del problema sta tuttavia – oltre che un aspetto non marginale di questo confronto di civiltà – una questione fondamentale che si pone tanto per l’Africa quanto per il resto del mondo e per la stessa Europa. Quale modello di sessualità si intende proporre e favorire? E, conseguentemente, quale modello è più efficiente e funzionale ai fini della lotta all’Aids? La via del ricorso, come 'arma vincente', all’uso sistematico di preservativi appare, più che una via maestra, una pericolosa scorciatoia. In questo modo viene infatti avallata e incoraggiata una sessualità irresponsabile la cui affermazione può portare ad esiti prevedibili, come attestano due significativi esempi. Il primo è tratto dalla Gran Bretagna ove la diffusione di massa, anche nelle scuole, di pillole e preservativi non ha affatto diminuito il ricorso all’aborto delle minorenni che (insieme alle gravidanze precoci) sta diventando in quel Paese un drammatico problema sociale. Più preservativi e più pillole non significa affatto più responsabilità nell’uso del sesso e un minore numero di concepimenti. Il secondo esempio riguarda proprio l’Italia, in relazione alla martellante campagna per l’introduzione e la diffusione delle cosiddette 'pillole del giorno dopo' (abortive). È il semplice buon senso ad indicare che intervenire sul 'giorno dopo' significa che le precauzioni del 'giorno prima' sono state inutili ed inefficaci. La 'morale della favola' è assai semplice: quando si punta sulla tecnica, e non sull’educazione alla responsabilità, i risultati sono inevitabilmente deludenti. Se si moltiplicano i rapporti sessuali promiscui e precoci vi sarà sempre qualche errore di prevenzione e qualche infortunio tecnico e si dovrà allora ricorrere a spesso aberranti 'ripari'. Basta al riguardo una semplice domanda: come mai in tutti i Paesi dell’Occidente, il ricorso all’aborto, farmaceutico e medico, è ancora così elevato? Chi oserebbe affermare che i nostri giovani, e meno giovani, non sono 'informati' e non sanno dove rifornirsi nelle diffusissime 'attrezzature' delle nostre città? La Chiesa non ha mai amato le scorciatoie ed indica, anche per quanto riguarda la lotta all’Aids, la via maestra della responsabilità. È una via impopolare e mal compresa (come l’invito a «perdonare settanta volte sette», a «porgere l’altra guancia», a «non dividere ciò che Dio ha unito», e così via) ma l’unica degna di una Chiesa fedele alla Parola che la fonda e l’unica compatibile con la fede nell’uomo, e la speranza sull’uomo, ben più nobile e alta che non la fiducia nella 'onnipotenza' della tecnica (e del preservativo).
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