mercoledì 28 luglio 2010
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La tensione all’interno del Popolo della libertà continua a salire, provocando una sensazione di instabilità del quadro politico che, a sua volta, induce a evocare scenari – spesso piuttosto fantasiosi – che hanno, però, l’effetto di suscitare nuovi sospetti e nuove frattura nel partito di maggioranza relativa. Se questa reazione a catena si fermerà o meno durante il periodo feriale e se, al contrario, porterà a una qualche irrimediabile conflagrazione non è, per ora, possibile prevedere con un minimo di attendibilità.Sarebbe tuttavia già di una certa utilità sgombrare il campo dalle ipotesi che non tengono conto del vincolo democratico fondamentale che lega gli eletti agli elettori. Si tratta naturalmente di un vincolo politico-morale, visto che giustamente la Costituzione – costruita attorno all’idea di un sistema parlamentare – non impone una regola che deriva, invece, logicamente dal meccanismo maggioritario. Insomma, anche se su un piano strettamente giuridico ci sono margini diversi e più ampi, nell’Italia della cosiddetta Seconda Repubblica chi ha ottenuto il mandato a governare ha il dovere (non solo il diritto) di farlo, cercando le soluzioni politiche e non disciplinari per mantenere la coesione della maggioranza uscita dalle urne. Questo compito, oggi, spetta a Silvio Berlusconi, che non può permettersi di farsi travolgere da questioni caratteriali o di risentimento e tanto meno adottare una logica del tanto peggio tanto meglio, puntando egli stesso a uno scioglimento anticipato delle Camere. Per la verità, nelle ultime settimane il premier ha mostrato di saper ingoiare qualche rospo pur di evitare una crisi al buio che, oltre tutto, nuocerebbe al Paese in una situazione di notevole difficoltà economico-sociale e di perdurante tensione dei mercati finanziari internazionali.Se, poi, alla fine, si riscontrasse che il pasticcio che ci è stato servito – il logoramento permanente dell’esecutivo e la clamorosa diatriba che oppone i co-fondatori del Pdl, il premier Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini – impedisce di affrontare i problemi e di compiere le scelte politiche necessarie per il Paese, anche in quel caso bisognerà evitare altri pasticci. Un cambiamento radicale dell’orientamento politico del governo può e deve essere sancito solo da un passaggio elettorale, e anche una eventuale rimodulazione della maggioranza parlamentare attorno al suo nucleo originario andrebbe valutata con estrema attenzione: non potrebbe, ovviamente, prescindere da una crisi e da una verifica parlamentare della fiducia, ma non potrebbe neanche prescindere dal ruolo chiave vincitore delle elezioni alla testa della coalizione di centrodestra Pdl-Lega e neppure cancellare gli impegni assunti col proprio elettorato dai leader dei due differenti schieramenti di opposizione, l’alleanza di centrosinistra Pd-Idv e il centro autonomo dell’Udc.Le questioni politiche (e anche quelle caratteriali) che lacerano il Popolo della libertà debbono essere affrontate all’interno di quel partito, che altrimenti sarebbe il principale responsabile dell’instabilità e finirebbe col pagarne le conseguenze. D’altra parte non è ragionevole utilizzare le fibrillazioni della maggioranza e i contraccolpi (anche ieri non piccoli né marginali) del cosiddetto caso P3 per giustificare o cercare addirittura di imporre operazioni politiche avventurose e avventuriste. Il capo dello Stato ha fatto capire con assoluta chiarezza che non è affatto disposto ad avallare manovre di questo genere, che peraltro difficilmente sarebbero accettabili per tutte le opposizioni, a cominciare dall’Udc che ha escluso già in partenza di poter partecipare al gioco del ribaltone.Una maggioranza che fatica a trovare il modo per uscire da una fase di autologoramento e settori delle opposizioni che inseguono disegni irrealistici sono, però, fattori che si alimentano a vicenda, e che fanno incancrenire invece che risolvere la situazione.
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