Il «partito di De Gasperi» e il cambiamento
mercoledì 19 agosto 2020

Caro direttore, il ricordo di Alcide De Gasperi, calato nella realtà odierna, obbliga a riflettere sulla crisi della politica. Non è una disamina astratta, fuori dalle urgenze di questa violenta crisi sanitaria ed economica. Il Paese scopre il declino della democrazia, fatale conseguenza di un trentennio senza sviluppo. Bisogna guardare in faccia la realtà. Oggi, a differenza dell’età degasperiana, abbiamo classi dirigenti deboli e forte astensionismo elettorale: due facce della stessa medaglia. Un vuoto di fiducia e di rappresentanza, come se le istituzioni non interagissero appieno con la vita della comunità. Nella psicologia collettiva pesa la ridondanza di una critica ossessiva e ambiva-lente, tutta giocata all’attacco dei modi cosiddetti vecchi e inadeguati di concepire l’impegno pubblico. Sotto agisce la molla dell’antipolitica. Accade perciò che la vetusta partecipazione democratica venga surrogata dal potere degli algoritmi. Altro che trasparenza! Il dato di fondo è che i partiti non assolvono al ruolo che la Costituzione a essi attribuisce quali strumenti a disposizione dei cittadini «per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49). Non a caso, di fronte al degrado della prassi democratica, ricorre il desiderio di reinventare anzitutto una formula civica di presenza attiva e organizzata. Tra i cattolici, in particolare, serpeggia questa esigenza. Ora, attraverso un certo ripudio del sistema si genera facilmente confusione.

Lo stesso referendum sulla riduzione dei parlamentari appartiene a una dinamica populistica che muove dalla svalutazione della 'Repubblica dei partiti'. Siamo all’epilogo di una stagione che ha prodotto l’esaltazione del capo politico e il dogma del bipolarismo purchessia. Anche De Gasperi ebbe la consapevolezza della fragilità democratica dell’Italia e propose vanamente una equilibrata legge maggioritaria - subito definita 'legge truffa' dalle opposizioni di sinistra - che aveva per obiettivo la difesa dell’alleanza filo-occidentale. Non avrebbe mai concepito, in ogni caso, l’idea di mortificare l’istituto parlamentare, visto che ne sostenne sempre la centralità nel dibattito sulle grandi scelte nazionali. Con ciò non si pretende di ricavare incongrue conseguenze per l’oggi. La ricostruzione del nostro Paese, nel secondo dopoguerra, è il racconto di una storia di successo. A pensarla nei termini di spontaneità vitalistica del capitalismo si commetterebbe un grave errore; certo fu anche quello, ma più ancora il portato di una corale assunzione di responsabilità che incrociava eminentemente la funzione di indirizzo e di sintesi della Dc degasperiana. Nessuno disconosce l’impatto che produsse il Piano Marshall sull’economia italiana; eppure, nondimeno, quello slancio prodigioso si realizzò nel contesto di nuova politica industriale e di apertura al commercio internazionale, segno di coraggio e lungimiranza dei governi centristi dell’epoca. Il boom economico ebbe una matrice politica, come pure, a rovescio e per disgrazia, un’analoga matrice la si può rintracciare nella lunga stagnazione intervenuta negli ultimi decenni. L’opera di De Gasperi, pertanto, è simbolo di quanto manca e quanto serve all’Italia dei nostri giorni, all’Italia desiderosa di rinascita. Senza dubbio, questa nuova rinascita può avvalersi dell’esempio rappresentato dal più insigne statista del secondo Novecento italiano, uno dei padri fondatori dell’Europa unita, un campione ante litteram della visione opposta al sovranismo.

Tuttavia, l’esempio ha valore se rompe la gabbia della pura imitazione del passato, se traccia una linea di evoluzione, una possibile strategia per l’avvenire. Dunque, alla luce degli aiuti che verranno da Bruxelles, a breve occorrerà ridisegnare una politica di solidarietà e convergenza democratica, secondo un criterio di tipo degasperiano, per dare basi solide alla seconda ricostruzione del Paese. Se ci fosse un 'partito di De Gasperi', nuovamente capace di unire cattolici e laici in una battaglia di progresso, l’Italia già sarebbe più avanti e più sicura. All’opposto, il dibattito politico ruota ogni giorno attorno alla difficile navigazione della maggioranza giallo-rossa. Che fare, in questo senso? Un nuovo partito o una nuova coalizione? Insomma, quale strada imboccare? Importa soprattutto che la volontà riformatrice non si disperda nei rivoli di una diaspora di convenienza. In sostanza, mentre il 'partito di De Gasperi' è una libera metafora, di per sé evocativa di una prospettiva a maglie larghe, la politica che ne deriva rappresenta una stringente necessità. Siamo nel pieno vortice di un cambiamento inevitabile, ne dobbiamo tener conto per il bene del Paese.

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