sabato 9 gennaio 2016
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Gentile direttore,sono la ragazza che ha illustrato al Papa la Mangiatoia di cui avete parlato proprio il giorno dell’Epifania a firma di Lucia Bellaspiga. Avere la possibilità di incontrare il Papa, stringergli la mano e spiegargli chi rappresento, la Comunità “Villa San Francesco” di Facen di Pedavena, quindi la mangiatoia fatta con 208 legni provenienti da 103 Paesi del mondo, è un fatto storico per la mia piccola vita, ma soprattutto per la nostra vita comunitaria, molto più ampia e di respiro più lungo e profondo. L’ho interpretato come un onore immenso e un impegno serio. Ho atteso sul sagrato di piazza San Pietro, assieme agli altri 15 ragazzi della Comunità, un paio d’ore prima che iniziasse l’udienza. Mai attesa è stata più benedetta, per me: ho passato in rassegna nella mia testa e nel mio cuore tutti i volti dei ragazzi e degli educatori che vivono e lavorano in Comunità, sia quelli che mi guardavano dall’altra parte della piazza, sia quelli rimasti a Facen, il volto del direttore Aldo rimasto in Comunità, tutti i volti dei volontari senza i quali verrebbe meno il sapore prezioso del senso di queste attività, infine tutte le persone care a me. È stata una dolce fatica, necessaria perché tutti i loro occhi dovevano essere nei miei, le loro mani nella mia, le loro voci nella mia, e io solo uno strumento di uno stesso corpo comunitario. I luoghi più importanti della cristianità, in questa mangiatoia, ci sono, rappresentati da un umile pezzo di legno. Ho indicato al Santo Padre il legno usato nei lavori alla tomba di San Pietro nel secolo scorso, il leccio di Fatima dove i tre pastorelli hanno visto la Vergine Maria, il legno di Ellis Island dove sbarcavamo noi, migranti, cent’anni fa e quello di un barcone dei migranti di oggi, preso a Pozzallo. C’è il filo spinato della prima e della seconda guerra mondiale, proveniente dal Monte Grappa e da Auschwitz. E c’è lo specchio che lo scultore Gilberto Perlotto ha deciso di mettere dentro la mangiatoia, perché ciascuno, affacciandosi, veda riflesso il bambino che porta dentro. Ho donato al Papa un disegno di Vico Calabrò, geniale artista e direttore artistico della Comunità, rappresentante il legno che ciascuno di noi porta verso Betlemme… Poche parole, perché siamo convinti che la mangiatoia parli da sola. Il Papa si è avvicinato alla mangiatoia, si è stretto in una preghiera commossa, proteso in avanti con le mani giunte e gli occhi chiusi; a pochi passi da lui, la folla gridava e lo chiamava, ma pareva che lui fosse in un luogo e un tempo diversi e nulla potesse distogliere la comunione di dialogo, di contemplazione, di vita vera con Dio, preziosa oltre misura. Ha riaperto gli occhi, ha benedetto la mangiatoia, si è segnato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ha donato un ultimo sguardo a quella “cucitura” di storie e vite e dolori e sogni, e poi si è diretto verso gli sposi novelli, che lo attendevano. Il tremore che mi ha colto e stravolto lo chiamo Grazia, e prego tanto che l’oblio non lo intacchi nella mia memoria e sempre torni a farmi vibrare. Grande è stato lo stupore, nei giorni seguenti, nel sapere che il Papa in diverse occasioni e incontri privati con delegazioni italiane ed estere ha parlato della nostra mangiatoia, segno che ne era rimasto colpito. Durante il lungo viaggio d’andata in furgone per portare a Roma la mangiatoia, mi giravo e vedevo Issa, diciassettenne musulmano del Mali, accanto alla mangiatoia che ha contribuito a realizzare, e pensavo alla sua storia, a quella degli altri ragazzi della Comunità, a tutti i fili delle nostre vite intrecciati assieme in una tessitura che ci è dato di intuire magari solo per qualche attimo, un attimo di meraviglia eterna. Grazie a tutti voi, grazie ad “Avvenire”, il giornale in cui raccontare tutto questo è ancora possibile!FrancescaMi avevano colpito e toccato l’accoglienza e la preghiera di papa Francesco, il 6 gennaio a San Pietro. E il coinvolgente articolo di Lucia Bellaspiga aveva accompagnato anche me davvero vicino a quella speciale “mangiatoia” nel presepe del mondo che da Facen di Pedavena avete portato nel cuore cristiano di Roma. Ma questo tuo racconto, cara Francesca, riesce a dare nuova profondità a un gesto di comunione e di concretezza umana che dice di un impegno senza ombre e senza riserve al servizio della fraternità che Gesù, figlio e fratello, Parola creatrice, ci ha pienamente rivelato. Se noi, gente d’Avvenire, possiamo sentirci parte di questo piccolo grande miracolo è perché con le tue parole ci hai ricordato che tra gli altri legni della “mangiatoia” ci sono quelli che raccogliamo ogni giorno col nostro lavoro di cronisti, decisi a continuare a percorrere e ad ascoltare la buona foresta che cresce silenziosa sotto il cielo di Dio e in una terra degli uomini e delle donne ancora troppo segnata dal dolore, dalla guerra, dall’ingiustizia. Grazie per avercelo ricordato, e grazie a tutta la Comunità “Villa San Francesco” per ciò che costruisce.Marco Tarquinio
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