mercoledì 29 settembre 2010
C’è un Paese che non si appassiona agli appartamenti a Montecarlo, ma avrebbe molta voglia di realizzare un piano di edilizia popolare. Un Paese che sta lavorando per uscire dalla crisi e si aspetterebbe che la politica facesse la propria parte anziché restare prigioniera, da mesi, di contrasti più personali che politici. «Valori, non fondi: ecco il volano per il Sud». Il Forum delle associazioni cattoliche del lavoro: «La svolta nel protagonismo delle persone». Il progetto dell'istituto Luigi Sturzo: È l’ora del Paese reale «In Italia società civile più avanti della politica».
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C’è un Paese che non si appassiona agli appartamenti a Montecarlo, ma avrebbe molta voglia di realizzare un piano di edilizia popolare. Un Paese che sta lavorando per uscire dalla crisi e si aspetterebbe che la politica facesse la propria parte anziché restare prigioniera, da mesi, di contrasti più personali che politici. Un Paese che non sopporta più il «teatrino» delle battute. Che non capisce perché il Parlamento lavori al minimo, quando da anni si accumulano i progetti di riforma sui quali discutere e votare.C’è un Paese reale – dentro quest’Italia fiaccata dai veleni – che da tempo si è rimboccato le maniche. Che fatica a emergere nel racconto dei media, ma soprattutto si sente assai poco rappresentato. Si muove, si organizza, senza però riuscire a sfondare quel muro di incomunicabilità che la politica ha innalzato a propria protezione. Che non trova i canali per convogliare le energie dal basso della società civile all’alto dell’amministrazione dello Stato e farne discendere nuove opportunità.Gli esempi della ricchezza del tessuto della società italiana sono infiniti. Dalle imprese – che non a caso mostrano sempre maggiore insofferenza per quanto accade a livello governativo – ai sindacati che hanno saputo assumersi forti responsabilità per garantire la coesione sociale. Dall’ampio reticolo di associazioni al terzo settore organizzato, che svolge un ruolo insostituibile di sostegno alle attività pubbliche e che avrebbe però bisogno di maggiore spazio e riconoscimento per svilupparsi. E ancora, i movimenti per la legalità che stanno finalmente prendendo piede e coraggio nel Mezzogiorno, una sana ribellione da coltivare per far germogliare una nuova cultura in tante parti d’Italia.Sono esempi di quei corpi intermedi che rappresentano la vera risorsa "naturale" di questo Paese e che ne hanno garantito la tenuta in tante situazioni di crisi, economica e morale. In questo campo non è mai mancato – anzi è stato spesso eminente – il ruolo dei cattolici consapevoli, l’impegno di milioni di persone che forti dei propri valori radicati nella fede hanno portato il proprio contributo alla costruzione di una società migliore. Seguendo la bussola del bene comune, ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa e applicando come metodo quello della sussidiarietà. Un lavoro che continua, come dimostra il manifesto per la rinascita del Mezzogiorno presentato ieri dal Forum delle associazioni cattoliche del mondo del lavoro. Ma che ora è chiamato a un ulteriore salto di qualità, a una responsabilità maggiore per esercitare a tutti i livelli di governo del Paese quella «politica come forma di carità autentica» – a servizio dell’«ideale del bene comune» – indicata dal cardinale Bagnasco nella prolusione di lunedì scorso al Consiglio permanente Cei.Da qualche tempo ci si interroga sul «malessere dei cattolici» e sulla loro difficoltà a contribuire a una classe dirigente incisiva. In realtà, a mancare non sono né l’impegno né gli uomini e men che meno le idee, come dimostrano anche alcuni casi di amministrazioni locali – dalla Lombardia al Trentino e al comune di Parma, per fare qualche esempio – nelle quali alcune istanze care ai cattolici sono divenute scelte politiche compiute. Piuttosto emerge una difficoltà evidente a esprimere una rappresentanza caratterizzante a livello nazionale. Un collo di bottiglia che non si riesce a superare e che appare determinato da due fattori principali e collegati. Anzitutto, un’oggettiva difficoltà a riconoscersi nelle modalità vigenti della lotta politica e negli attuali contenitori-partito. Più ancora, però, l’impossibilità di superare quei filtri che la classe politica nazionale si è data, negando anche il voto unico di preferenza e bloccando le liste dei candidati. Quanto di più contraddittorio e deleterio possa esserci per un Paese che vorremmo moderno, dinamico e davvero informato alla sussidiarietà.
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