Sgomenti, sui social, per quella furia primitiva sui corpi di donna
lunedì 9 ottobre 2023

Nelle immagini dalla tragedia di Israele c’è, fra le prime, una ragazza bionda con i capelli crespi lunghi fin sulla schiena, come li portano le adolescenti. Nel furore dell’attacco repentino di Hamas agli insediamenti israeliani, fra ordini sbraitati, calci a sfondare porte, stanze violate, c’è anche questa ragazzina portata via curva, le mani dietro la schiena legate, come si lega un capretto da vendere al mercato.

In un’altra delle prime foto di questo atroce 8 ottobre si vedono, su un furgone degli uomini di Hamas, le gambe nude di una giovane donna e le mani dei soldati che le tengono ferme, sotto il controllo di un mitra puntato. Perché spogliarla, se non per umiliarla, per significare non sei un soldato, non sei una cittadina, sei semplicemente una donna, mostraci le gambe. Chissà dove è ora quella prigioniera, se è viva. E la bella ragazza bruna rapita da un rave party nel Negev insieme ad altre come lei, caricata a forza su una moto e portata via come un bottino prezioso? Lei ha occhi enormi di paura, grida, piange. Intollerabili questi video, perché in ognuna di queste giovani donne rapite sembra di rivedere una delle nostre figlie.

Hanno ucciso, quelli di Hamas, e hanno portato via anche uomini, e bambini, e vecchi attaccati alla badante filippina, annullando ogni codice di pietà o di onore militare. L’esplosione di una furia primitiva che fonda le sue antichi radici in odio ereditato, in annose sopraffazioni inferte e subite fra i due annosi nemici. Ma quella furia, quella voluttà di catturare il corpo delle donne, di portarselo via, esultando, atterrisce: perché ritrovi, sul tuo pc di ultima generazione, la primitività più bestiale degli uomini.

Come se appena un fiato di tempo, un nulla, fosse passato dai Sacchi di Roma, dalle invasioni barbariche che piombavano sulle città e le mettevano a ferro e fuoco. Ci raccontano spesso che la guerra, già domani, sarà tutt’altra: missili irti di testate atomiche, ciascuna mirata su un preciso bersaglio e istruita a una sua ben definita traiettoria. Guerre chimiche o biologiche sapientemente preparate nei laboratori, e scientificamente dosate per il tempo, e l’occorrenza. Vedremo guerre di droni pilotati da remoto a fotografare, individuare, annientare quel punto preciso del campo di battaglia ( a chi comanda quei droni non parrà, forse, nemmeno di uccidere).

Insomma ci annunciano una guerra prossima ventura crudelissima certo, ma tanto tecnologica che non ci sporcherà direttamente le mani di sangue, non si marcirà nelle trincee nel fango. Ma non è vero. Già l’Ucraina ci ha mostrato le sue fosse comuni traboccanti, e le violenze alle donne, contro una sola in tanti, in ben noti scantinati.

Perché tra tanti spaventevoli missili schierati nelle parate dell’Armata Rossa o di Kim Jung, prossimamente forse guidati da AI senza alcuna possibilità di errore, manca tuttavia ancora un’arma: la bestialità umana. Quella ferocia che, in guerra, in alcuni risale come dal di dentro, come un veleno che non si è mai spento, ma appena acquietato. E con voluttà trascinano per i capelli una ragazza, verso una sorte che non conosciamo ma temiamo di sapere. E quell’altra, mezza nuda su un camion fra voci urlanti e mani eccitate a tenerla ferma? Prede, come la fanciulla portata via in moto, così bella, forse omaggio per un capo. Come ai tempi di Neandhertal e poi di Brenno contro Roma, come in infiniti assedi medioevali. Come a Berlino nel ’45, quando i vincitori sovietici violentarono donne e ragazzine.

Tutte le sofisticate armi del 21esimo secolo, i droni a spiarci, i satelliti a controllare ogni angolo di mondo, e l’idea di una guerra tecnologica spietata in cui, tuttavia, basti premere dei bottoni da lontano, nella furia di Hamas sui villaggi israeliani viene smentita. Quelle mani legate, quelle gambe nude, quei volti terrorizzati di ventenni portate via, prede, roba, chissà dove.

Mentre sale nel mondo il mito della Intelligenza artificiale guardiamo quelle barbarie nel Negev: inconfondibile, turpe il marchio di una bestialità naturale che gli uomini hanno dentro. Se educati, istruiti, spesso se ne scordano. Ma infine in alcuni torna fuori, e si accanisce sulle donne come volendo dire: siamo i padroni, ancora. Padroni dei loro corpi, del loro grembo che per millenni è stato, fra nemici, solo un campo di terra. In cui piantare con prepotenza il proprio seme, la stirpe del vincitore.

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