domenica 24 aprile 2011
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Sono notizie minori, pure un po’ dissonanti in giorni di festa come questi. Poche righe d’agenzia, senza neppure il nome dei protagonisti, un po’ per pudore un po’ perché non conta. Notizie che finiscono in qualche trafiletto sulla stampa locale e amen. Eppure due suicidi, a distanza di poche ore uno dall’altro, per motivi legati alla perdita del lavoro, meritano almeno di fermarsi a riflettere qualche momento.Il primo è accaduto giovedì sera, a Salò in provincia di Brescia, dove un giovane pachistano stava passeggiando assieme ad alcuni parenti sul lungolago e, all’improvviso, ha preso la rincorsa e si è gettato nel lago di Garda con l’intenzione di morire. Era depresso, hanno spiegato i fratelli, perché aveva perso il suo lavoro nei trasporti.Quello «fisso», che dà certezze. Fino, appunto, a prova contraria. Ora si arrangiava con qualche lavoretto nei bar della località turistica. Qualcosa con cui mettere insieme pranzo e cena, se non si hanno grandi pretese, su al Nord si trova comunque. Ma se anche si riempie lo stomaco, alla mente e al cuore non basta, specie se vieni da un altro Paese e il lavoro ti serve per non diventare clandestino. Di più: per non essere straniero a te stesso.È peggio se stai giù al Sud, come nel secondo caso. Sì, certo, sei cittadino italiano, godi di tutti i diritti e le tutele. Ma hai quarant’anni suonati, abiti a Castronovo di Sicilia, in provincia di Palermo, dove il 40% dei giovani è disoccupato e figurati se trova lavoro una persona di mezza età, che fuori dalle (poche) aziende c’è una fila lunga così... E allora capita che una mattina la disperazione ti prenda così forte che accendi l’auto e acceleri verso l’unica «soluzione» che ti suggerisce l’abisso che hai dentro. Quella di scomparire volando giù da un viadotto alto 50 metri tra Agrigento e Porto Empedocle.Annientare te stesso, perché non sei stato capace di trovare un posto, cancellarti perché – paradossalmente – pensi di essere tu «il problema», tu «la causa» – e non il rimedio – della sofferenza di chi ti sta accanto. Della moglie e dei tuoi due figli che aspettano un padre, «normale», di quelli che tornano dal lavoro la sera.Calarsi nell’infinito labirinto della mente umana è un esercizio difficile, quando non impossibile.E in Italia ogni anno sono circa tremila i suicidi, qualcosa come 8–9 al giorno, per i più diversi motivi: dalle delusioni amorose alle malattie divenute insopportabili, alle reazioni esagerate degli adolescenti. Fino alla depressione grave che insorge in alcune persone, innescata spesso da eventi luttuosi, da stress particolarmente intensi, da drammi che non si riescono a superare. Come sono anche la perdita del lavoro o la mancanza di opportunità di occupazione.Non lavorare prosciuga, scava vuoti nel profondo, incrina le certezze su se stessi, ferisce e umilia la dignità. Uccide dentro. Fino all’autoannientamento.Quando arrivano notizie così, quando se ne ha qualche eco, si avverte come una lacerazione ancora più profonda e bruciante la distanza fra certi inutili dibattiti politici e la realtà. Tra fantomatici progetti di riforma del primo articolo della Costituzione e un’economia che non riesce a ripartire, per la quale sembrano mancare idee e iniziative. Ma anche tra l’energia e la rigidità con le quali si difende qualche prerogativa contrattuale da un lato e dall’altro la mancanza di prospettive per un numero elevato, inaccettabile, di giovani e meno giovani.Di non–lavoro si muore dentro. E, purtroppo, ci si ammazza. La disoccupazione, nei suoi mille volti, non può non essere il male prioritario da combattere, contro il quale concentrare gli sforzi. Anche in un impegno unitario, capace di andare al di là delle differenti visioni.
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