lunedì 16 febbraio 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Cryo, Nordic Cryobank, Ovobank, Imer Biobank: sono nomi che al grande pubblico non dicono ancora nulla, ma che nel mondo della riproduzione assistita stanno più o meno come Microsoft all’informatica. È con questi protagonisti del mercato della maternità in provetta – danesi le prime due aziende, spagnole le seconde – che ospedali pubblici e cliniche private del nostro Paese stanno entrando in affari per sopperire a un “piccolo problema” dell’eterologa all’italiana: l’assoluta mancanza di connazionali disposti a donare ovociti femminili e seme maschile per schiudere a coppie sterili la possibilità di mettere al mondo un figlio. Un dettaglio che, presi dall’ansia di abbattere per via giudiziaria il divieto di fecondazione con gameti altrui contenuto nella legge 40, era sfuggito ai sostenitori della riproduzione in vitro come “diritto” in alcun modo limitabile, e neppure restringibile per motivi economici (è peraltro la stessa sentenza della Corte Costituzionale a imporlo).Dunque – si diceva a legge appena rimaneggiata – sarà tutto gratis, tutto accessibile, tutto trasparente, e guai a evocare scenari di bancarelle virtuali con gameti in vendita. È andata altrimenti, perché la procreazione umana non tollera riduzioni al rango di “diritto” che si reclama e si ottiene con qualunque tecnica solo espungendo un (meditato) divieto dalla legge, senza peraltro sostituirlo con alcuna regola minima. Si è pensato che tutto fosse possibile, scoprendo poi che non è affatto vero: perché mai una donna dovrebbe accettare di cedere con i propri ovociti il principio di una nuova vita per mettere al mondo un figlio che sarà suo senza esserlo mai? In tutti i Paesi in cui l’eterologa è legale c’è un solo motivo per privarsi di questa parte essenziale di sé: una congrua “retribuzione”, alimentata da una consistente domanda adeguatamente incoraggiata. Non a caso ovunque sussista libertà assoluta di maternità in provetta è proliferato attorno alle più disparate pratiche di fecondazione artificiale un pingue mercato della vita, pronto a comprare e vendere ovociti, sperma, embrioni, persino uteri, con un listino ritagliato sulle caratteristiche – somatiche, e non solo – del bambino che si desidera. Le multinazionali dei gameti sono solo la conseguenza inevitabile della procreazione contaminata dal business. Intuito il potenziale profitto, reso possidile in Italia dopo la sentenza pro-eterologa dell’aprile 2014, era solo questione di tempo perché i supermarket della riproduzione arrivassero anche da noi. Eccoli, adesso, col loro campionario in bella mostra. Era questo che si voleva? No, era ciò che si negava. Ma è la dura e ingiusta realtà del “mercato”.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: