mercoledì 9 novembre 2011
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​Caro direttore,
non sono un assiduo e fedele lettore di Avvenire ma ho comunque deciso di scrivervi. Ho 26 anni sono all’ultimo anno di studi alla facoltà di Economia di Torino. Sono da poco tornato da un Congresso dei giovani del Movimento dei Focolari a Roma, questi giovani si chiamano Gen 2, che significa Generazione Nuova (http://tinyurl.com/gendue) e, per me, è stata un’esperienza fortissima. Vorrei dirvi quel che penso dello stato dell’informazione in Italia. Infatti, mi accorgo spesso nel leggere la carta stampata e nel guardare i telegiornali che l’informazione che viene passata e offerta è condita pesantemente da notizie negative. Ovviamente, spesso, sono notizie "giuste" perché si tratta di fatti oggettivi. La cosa che mi colpisce sempre è, però, che chi detiene le chiavi dell’informazione non fornisce mai una speranza e mai dà spazio e rilievo alle notizie di respiro positivo. Vi ricordo cari amici giornalisti l’importanza del vostro lavoro, perché al giorno d’oggi avete in mano tanto, perché influenzate tanto. Vi auguro di "essere verità", di trovare sempre, nel vostro lavoro la Sapienza per operare nel giusto...
Luca Piccoli, Torino
Il suo incitamento e il suo augurio, caro amico, sono preziosi. Provi a essere assiduo e fedele con Avvenire così come le riesce – a quanto posso cogliere da quel che scrive – con la Speranza e vedrà che questo è un giornale un po’ diverso. Offriamo, come altri, un’informazione il più possibile accurata e, più di altri, cerchiamo di mantenere una vigile attenzione anche su vicende e Paesi che non trovano facilmente spazio sulle pagine degli altri giornali. E manteniamo un impegno di base: non nascondere mai gli alberi che cadono e che meritano di essere segnalati (le «notizie negative»), ma cercare di ascoltare – e fare ascoltare – la foresta che cresce («le notizie di respiro positivo»). È una responsabilità costitutiva dell’idea stessa del quotidiano nazionale di ispirazione cattolica, e che in questa redazione si onora da sempre con bella professionalità. È una responsabilità che corrisponde – mi viene da dire – a un dovere di "giustizia informativa" (perché non è vero che solo le cose storte fanno titolo e interessano la gente) e che io personalmente sento moltissimo, tanto da averne fatto – due anni fa, all’atto della mia nomina a direttore – una sorta di promessa solenne a me stesso, ai colleghi di Avvenire e a tutti i lettori. So bene che qui in Italia (ma non solo qui) non pochi giornalisti, alcuni assai importanti e noti, rifiutano di riconoscere che il nostro mestiere ha anche una portata e una rilevanza "formative", io invece penso esattamente il contrario, e cerco di dimostrare che fare i conti con questa realtà oggettiva non è un dovere astratto, ma un modo per essere utili sul serio ai cittadini-lettori. Abbiamo, insomma, la stessa opinione, gentile signor Luca: noi cronisti possiamo «influenzare tanto» perché finiamo per proporre – sui giornali, alla radio, in tv, attraverso il web – non solo notizie e opinioni (possibilmente ben distinte le une dalle altre...) bensì anche "modelli" che formano l’opinione pubblica, entrando nell’immaginario collettivo e costruendo il clima nel quale si sviluppa la convivenza civile. Non è sempre facile, soprattutto di questi tempi, attrezzarci a vedere bene oltre clamori e apparenze sgargianti. E oggi si fa obiettivamente fatica ad alzare lo sguardo oltre l’orizzonte incombente e cupo della triplice crisi – economica, sociale e politica – che ci tocca sperimentare come cittadini dell’Italia, dell’Europa e del mondo, ma ci si può riuscire. E come cristiani si deve.
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