Il futuro di un Paese cammina con le famiglie, anche immigrate
domenica 26 gennaio 2020

Oggi la vasta diocesi ambrosiana celebra la festa della Sacra Famiglia. Le Chiese di rito romano l’hanno celebrata poche settimane fa. Nel cuore dell’inverno, poco dopo Natale, la Chiesa cattolica ricorda che Gesù è nato e cresciuto in una famiglia umana, e con la sua famiglia è stato perseguitato ed esiliato. Guardando all’icona della Sacra Famiglia, i cattolici sono chiamati a porre al centro delle loro sollecitudini le famiglie odierne, in carne, ossa, relazioni e sentimenti. Quando però in Italia si parla di famiglia e di valori familiari, quando si organizzano convegni e iniziative a sostegno della famiglia, scatta una sorta di riflesso condizionato: le famiglie che si vogliono (giustamente) tutelare sono immaginate e rappresentate come italiane, per nascita, cittadinanza, formazione culturale. Per converso, quando si parla d’immigrazione, l’immaginario più ricorrente evoca giovani uomini soli, oggi soprattutto africani e sbarcati dal mare.

Forse potrà apparire ad alcuni sorprendente, ma l’immigrazione in Italia, come negli altri Paesi sviluppati, sta invece assumendo sempre più un profilo familiare. Anche nel 2018, come negli anni precedenti, la maggioranza dei nuovi permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di Paesi extra-Ue (il 52,4%), sono stati concessi per motivi familiari. I cittadini della Ue non ne hanno bisogno, così come i lavoratori ad alta qualificazione: possono portare con sé le famiglie senza particolari vincoli. In aggiunta, degli oltre 5 milioni di stranieri residenti 1,1 è nato in Italia da genitori stranieri. Mediante le famiglie cresce la mescolanza e si formano nuove identità culturali. Le popolazioni immigrate diventano sempre più simili a quelle autoctone, fino a confondersi con loro.

Questi processi non sono tuttavia privi di tensioni e difficoltà. Nell’epoca contemporanea le famiglie immigrate raramente arrivano insieme. I primi a muoversi sono di norma giovani adulti, uomini e donne (la maggioranza in Italia e in Europa), che lasciano i familiari in patria. L’immigrazione comporta una separazione delle famiglie: una fase in cui gli affetti vengono tenuti vivi da telefonate e (oggi) videochiamate, dagli aiuti materiali e dai doni inviati a casa, dalle visite quando è possibile. Rendere più agevoli i ricongiungimenti familiari, consentire a genitori e figli di ritrovarsi e vivere insieme, favorire la 'cittadinanza genitoriale', dovrebbe essere il primo obiettivo di politiche familiari davvero inclusive.

Ricongiungere la famiglia tuttavia è solo un primo passo: dopo anni di lontananza tutti i protagonisti si accorgono di essere cambiati, e non soltanto perché i figli sono cresciuti. Il ricongiungimento non è un lieto fine, ma un nuovo inizio, carico di incertezze, sfide, nuovi equilibri da conseguire. Il secondo obiettivo dunque dovrebbe essere: accompagnare i processi di ricongiungimento, aiutare le famiglie immigrate a ricominciare un percorso di vita comune. Si potrebbe pensare, per esempio, a famiglie-tutor che in ambito locale si 'gemellino' con quelle neo-arrivate, diventando un punto di riferimento per orientarsi in un ambiente sociale per molti versi sconosciuto. L’inserimento dei figli nel nuovo contesto è un altro passaggio cruciale. Più sono cresciuti, più diventa difficile per loro adattarsi. Serve una scuola accogliente, ma servono anche luoghi extrascolastici in cui possano sviluppare esperienze di socialità e apprendimento informale. Già oratori, doposcuola, società sportive fanno molto in questo campo. Forse però occorre andare oltre la spontaneità, sviluppando consapevolezza, competenze, cammini più strutturati.

Quando i figli sono nati qui (ormai, la maggioranza), i luoghi extrascolastici accessibili e a basso costo risultano parimenti preziosi per offrire opportunità di aggregazione, divertimento, sviluppo educativo, a cui altrimenti le famiglie con pochi mezzi avrebbero difficoltà ad arrivare.

Vanno infine ricordate le coppie e famiglie miste: oltre il 12% dei matrimoni. In più di 3 casi su quattro, sono uomini italiani che sposano donne straniere, provenienti perlopiù dall’Europa Orientale. Qui le occasioni di scambio culturale e integrazione sociale sono per definizione esaltate, ma sorgono anche questioni delicate e complesse, che spaziano dalle reazioni dell’ambiente, al rapporto con le famiglie di origine, agli squilibri di potere, all’educazione religiosa dei figli che nascono da unioni interconfessionali. Anche in questo caso, accoglienza e accompagnamento possono fornire un apporto decisivo. E le coppie miste possono diventare un esempio per le comunità. Il futuro di un Paese cammina insieme alle sue famiglie. È ora di renderci conto che le famiglie dell’Italia di domani sono anche queste, arrivate da lontano per ringiovanire un Paese in declino.

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