venerdì 15 ottobre 2010
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«Nessuno mai che abbia adottato fin da giovane questa opinione sugli dei, cioè che non esistono, ha continuato a persistere in questa opinione fino alla vecchiaia». Queste parole, scritte da Platone nel suo "Nomoi", vengono alla mente a seguito della lettura dell’ampia pagina che Avvenire ha dedicato alla conversione del filosofo del diritto di matrice atea e marxista Pietro Barcellona. Sulla conversione, ovviamente, non vi è nulla da obiettare, poiché è una questione che riguarda l’anima di ciascuno; del resto già Tommaso da Kempis ammoniva che quando sarà giunto il giorno del giudizio non ci verrà chiesto che cosa abbiamo studiato, ma cosa abbiamo fatto; non se abbiamo saputo parlare bene, ma se abbiamo saputo vivere devotamente. Alcune perplessità, invece, trovano scaturigine dal fatto che Barcellona sia stato folgorato solo dopo la caduta del Muro di Berlino. Certo gli esempi di rinsaviti dal sonno dogmatico del marxismo non mancano in letteratura: Arthur Koestler, Albert Londres, Joseph Roth sono soltanto alcuni, ma ciò che fa specie nel caso di Barcellona sono almeno due circostanze.Primo: che la folgorazione l’abbia avuta solo alla fine dell’era comunista (1989); non sarebbe stato meglio nutrire dubbi quando fu ignorato il manifesto dei 101 intellettuali comunisti che protestavano con il Partito per l’avallo della repressione ungherese con i blindati moscoviti (1956)? O, appunto, quando fu costruito (1961), nel cuore dell’Europa, un muro che separava materialmente, in beffa alla propagata retorica internazionalista sulla fraternità dei popoli e dei proletari, i due polmoni europei (definizione di Giovanni Paolo II), cioè l’ovest e l’est?Secondo: che Barcellona racconti la sua conversione può essere una testimonianza spiritualmente costruttiva, ma sarebbe intellettualmente più avvincente e filosoficamente più coraggiosa l’esperienza che lo vedesse altrimenti impegnato: invece, cioè, di parlare della forza di Cristo ai cattolici (c’è chi è credente e cattolico da più tempo di lui), potrebbe chiarire ai comunisti di ieri e di oggi le debolezze di Marx, cioè cosa non funziona nel pensiero materialista. Perché non spiegare a quanti desiderano rifondare il comunismo, per esempio, perché è bene che questo resti sepolto sotto le macerie del muro di Berlino? Perché non spiegare a Diliberto e compagni che il loro è il «Dio che è fallito»? Roba non da poco: potrebbe evitare, infatti, che altri commettano i suoi stessi errori, a cominciare da un eventuale tardivo e doloroso pentimento, mostrando di aver appreso profondamente la lezione di San Paolo che così si doleva: «Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio».

Aldo Vitale, S. Agata Li Battiati (Ct)

Le darò una riposta semplice e povera, caro amico: nessuno conosce il tempo del germoglio, tranne Lui. Il professor Barcellona ha camminato a lungo, e non da solo, sino a ritrovarsi in un deserto in cui si è creduto sperduto e solo. Questo ci sta raccontando. E ci racconta anche che lì, nel “suo” deserto, ha incontrato altri volti e attraverso essi – ah, come l’ha saputo scrivere bene mercoledì scorso Alessandro D’Avenia sulle nostra prima pagina... – ha riconosciuto e capito Gesù Cristo, ha scorto e compreso il volto di Dio. Dove la sapienza del mondo e l’eloquenza della storia non bastano, basta la vita.
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