Il dovuto con sovrapprezzo (china da capovolgere)
domenica 6 novembre 2016

«Vi informiamo che siamo in arrivo alla stazione di Roma Termini: il treno sul quale state viaggiando è in perfetto orario…». L’annuncio ti coglie di sorpresa mentre cerchi faticosamente di recuperare la valigia dalla rastrelliera senza decapitare il vicino di posto, provocandoti prima un istintivo moto di gratitudine verso il signor Frecciarossa, e poi un sottile sorriso di commiserazione verso il medesimo, immediatamente condiviso dai colleghi di tratta, miracolati dall’assenza di ritardo.

Ma non è solo una questione di rotaia. Il vezzo dell’altoparlante che cerca di rivendersi la normalità come un trionfo è una prassi consolidata per chi eroga un servizio in questo Paese, dove vantarsi di aver fatto il proprio dovere non è quasi mai considerato un esercizio ipocrita. Lo stesso, fateci caso, avviene quando attraversiamo la strada regolarmente sulle strisce pedonali, e le auto che sopraggiungono si fermano per lasciarci passare: la stragrande maggioranza di noi è portato a esprimere con un fugace cenno della mano la propria immensa gratitudine verso la persona al volante, che si è gentilmente astenuta dal trituraci sotto le ruote. Poco importa se logica e segnaletica stradale gli impongono di farlo: abituati all’impaziente inciviltà altrui, ringraziamo a prescindere il benefattore in controtendenza. Nello stesso modo, concediamo sempre più spesso mance a chi presta un servizio per noi: non perché l’abbia fatto con particolare professionalità o impegno, ma semplicemente perché l’ha fatto, anche se per questo già è pagato.

Nulla di male, ci mancherebbe: anzi, tutto ciò è quasi poetico. Ma anche profondamente assurdo. Non risulta infatti che normalmente al ristorante il cameriere annunci col megafono il fatto che il filetto servito al tavolo 5 sia stato cotto alla perfezione. E neppure che l’autista del bus al capolinea chieda l’applauso per aver rispettato tutte le fermate, aprendo e (pure) richiudendo le porte dopo che la gente è salita a bordo. La gentile hostess della (più o meno) nostra compagnia di bandiera invece che , quando ciò accade, ci informa con malcelato orgoglio che «il volo è atterrato in anticipo rispetto all’orario previsto», fa evidentemente parte della strategia seduttiva di molti grandi aziende, sempre più propense a minimizzare i disagi ed enfatizzare il dovuto. Spiace notarlo ancora una volta in ambito di trasporti e affini, ma l’ennesimo esempio della moda di travestire il disservizio in trattamento speciale arriva da Trenord, che in questi giorni ha annunciato la novità (in via sperimentale) della presenza di 20 guardie giurate armate sulla linea Milano-Bergamo per garantire la sicurezza dei passeggeri.

Ora, sorvolando sul fatto che sentirsi 'garantiti' da 20 pistole in più non sia così scontato, rimane la circostanza che questo servizio comporterà un aumento del 5% del prezzo del biglietto. In pratica, serve aggiungere un extra per ciò che normalmente dovrebbe essere dovuto da qualunque contratto di viaggio già regolarmente pagato: arrivare cioè a destinazione sani e salvi. A furia di considerare i nostri diritti come un valore aggiunto insomma, siamo riusciti a farli diventare davvero tale. Protestare adesso? Probabilmente è troppo tardi perché nulla diventa più definitivo di un atteggiamento provvisorio accettato e consolidato. Ma rassegnarsi no, questo sarebbe troppo: la china è da capovolgere. Per cominciare, in questi casi, allora, forse è meglio recuperare la valigia e raddoppiare il sorriso di commiserazione. Perché, come ha scritto qualcuno, nulla confonde i piani dei furbi come il sospetto di passare per ridicoli.

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