Il Papa in Iraq e i miei cinquanta giorni di Covid duro e di vita che voglio nuova
sabato 6 marzo 2021

Caro direttore, il 16 gennaio sono stato ricoverato per Covid ai polmoni con complicazioni e infezioni batteriche. Mentre pareva che il cielo e la terra distrattamente si fossero dimenticati di me, il personale dell’Ospedale di Varese si è preso cura della mia persona. Sono stato accolto da una famiglia umana fatta di tanti volti, tanti nomi che mi hanno preso per mano facendomi ritrovare la via verso casa. Al mio risveglio, guardando i loro occhi e i loro sorrisi ho compreso che era anche la “loro” personale vittoria. Salvare una vita, salvare la vita. Ma l’11 febbraio sono arrivate verso sera tre persone ammalate di Covid. Nel giro di un’ora quelle persone erano morte. Mi sono coperto il volto con il lenzuolo e ho iniziato a piangere. Ho pregato per loro, ma il pianto non finiva. Una domanda, intanto, si faceva pressante dentro di me: perché loro no e io sì? E nessuna risposta mi bastava. La risposta giusta mi è arrivata due giorni dopo, da mio figlio Daniele: «Papà, è un dono». Quando tornerò a casa so che non sarò più lo stesso uomo di prima. Questa esperienza mi ha profondamente cambiato. Ho scoperto una infinita catena di persone che hanno pregato, mi hanno sostenuto con messaggi, tenerezza e una vicinanza non virtuale perché sentita dentro come forza e amore. E attraverso queste righe approfitto per dire un grande grazie. Mi sono sentito amato, sostenuto, abbracciato. Sono state le loro preghiere a darmi fiducia e voglia di ripartire in questi primi 50 giorni. E in queste ore il mio pensiero va a papa Francesco, al suo e “nostro” viaggio in Iraq. Dal suo discorso a Ur non si può, davvero non si può non raccogliere l’invito che in poche parole ci rammenta che cosa fece Abramo e cosa ancora ci insegna Maria: «Si alzò e andò in fretta» (Lc 1,39). Da qui riparte la mia nuova vita.
Fabrizio Battaglion


Vorrei semplicemente accompagnare con affetto e delicatezza, caro signor Fabrizio, questo suo racconto così coinvolgente e bello. Ogni giorno della nostra vita, proprio ogni santo giorno, è pieno di «doni» gratuiti e come impercettibili che riceviamo e che ci scambiamo, ma è solo in giorni specialmente difficili come questi della pandemia di Covid, in giorni così duri e così profondamente segnati da prove e domande sconvolgenti come quelle che lei ha sperimentato e sulle quali ha pianto che ci rendiamo conto – magari, come nel suo caso, attraverso le parole di un figlio – che tutto è dono e che c’è un amore che ci supera e che ci riguarda, ma che non sappiamo spiegare in alcun modo se non riconoscendo la tenerezza dello sguardo e della mano di Dio sulla nostra esistenza e la forza della solidarietà di coloro che ci vogliono bene e di quanti si prendono cura di noi. Lei ha ragione: il pellegrinaggio coraggioso e umile di papa Francesco nell’antica terra tra i due fiumi, sino a Ur dei Caldei, patria di Abramo e “radice” del cammino fiducioso di miliardi di credenti nell’unico Dio, quel Padre che per noi cristiani si è rivelato pienamente nel Figlio unigenito, è anche il nostro pellegrinaggio. Alziamoci e andiamo in fretta ai nostri doveri e alla nostra gioia, qui e ora. C’è un mondo intero da prendere sul serio, da fare più giusto e in pace, più sano e meno arrogante. E il tempo è proprio questo.
Un augurio fraterno per la sua “ripartenza”. E grazie, caro amico, grazie per aver deciso di condividere con me e con tutta la gente d’Avvenire la sua fatica, la sua fiducia e la sua speranza.




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