sabato 4 ottobre 2014
​Domenica nel Paese degli estremi il primo turno delle elezioni, sarà decisiva la classe media. Sfida a due tra Dilma Roussef (nella foto) e la socialista evangelica Marina Silva.
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Saranno forse le elezioni più tecnologiche e informatizzate dell’emisfero, una delle tante contraddizioni del Paese del samba. Da una parte quel 20% di brasiliani che sono classificati come analfabeti funzionali, almeno il doppio dei laureati. Dall’altra ci sono 25 milioni di brasiliani che usano lo smartphone per accedere a contenuti on line per decidere chi votare. Solo nel primo semestre di quest’anno le vendite di smartphone sono infatti aumentate del 47%. Di pari passo, in tempo di elezioni, hanno cominciato a proliferare decine di applicazioni e siti web dedicati alle presidenziali. «Voto vs Veto permette di trovare il candidato in cui un elettore più si identifica sulla base delle risposte alle domande che pone l’applicazione», spiega il suo inventore, Walter Nogueira, un studente dell’ultimo anno di ingegneria informatica. La sua applicazione è già stata scaricata da oltre 100 mila utenti. Attraverso una delle tante applicazioni disponibili adesso sul mercato, l’elettore brasiliano può addirittura sapere quali candidati hanno la fedina penale sporca oppure tirare un pomodoro virtuale a quelli che non meritano nemmeno di candidarsi per i loro trascorsi giudiziari.Il Paese in cui vivono indios mai venuti a contatto con la civilizzazione è il terzo per utilizzatori di Twitter (41 milioni) e il secondo di Facebook  (76 milioni) è l’unico dell’emisfero che usa quasi ovunque delle urne elettroniche che permetteranno di conoscere il nome dei vincitori delle elezioni solo poche ore dopo la chiusura dei seggi elettorali. «Siamo la settima economia del pianeta. Ma rimaniamo al terzo posto per le disuguaglianze sociali», ha spiegato Luiz Ruffato, unanimemente considerato il romanziere più interessante e originale della letteratura brasiliana contemporanea. Lo stesso Ruffato è il simbolo dei tanti paradossi del Brasile. Prima di diventare uno scrittore, ha venduto popcorn, ha fatto il cameriere, il commesso, l’operaio in un’industria tessile, il tornitore. La sua ascesa ricorda quella coraggiosa di Marina Silva, la candidata evangelica socialista, ex donna di servizio poi ministro dell’Ambiente, che oggi raccoglie il 25% delle preferenze ed è la seconda posizionata alle presidenziali di domani. Ma ricorda anche quella ancora più incredibile di Ignacio Lula da Silva, che prima di diventare il capo dello Stato più popolare della storia del Brasile faceva l’operaio metalmeccanico.L’attuale presidente, Dilma Rousseff, sua delfina, è favorita nella corsa elettorale per un secondo mandato. Ma il ricordo del Brasile di Lula è in buona parte svanito. Il Paese ha fatto sboom. A due giorni dalle presidenziali il real, la moneta brasiliana, è tornata alla stessa quotazione del 2008 rispetto al dollaro e la Borsa ha registrato il suo maggior crollo dal settembre del 2011. Il calo del Prodotto interno lordo (Pil) per due trimestri consecutivi ha portato il Brasile in recessione tecnica e le previsioni di crescita per l’anno prossimo potrebbero essere addirittura peggiori di quelle di quest’anno (0,7%). Per il ministro Guido Mantega, già capo del dicastero dell’Economia durante il governo Lula, non si deve ancora parlare di recessione: «Si tratta di uno stallo prolungato come quello avvenuto nei Paesi europei che sono rimasti diversi trimestri con il Pil congelato», ha assicurato. Ma i problemi dell’economia brasiliana non sembrano essere il frutto di una congiuntura passeggera come avvenne durante la crisi internazionale del 2008. Il gigante sudamericano continua ad avere gli interessi bancari più alti del mondo, un limite oggettivo all’accesso al credito e quindi ad una crescita reale e sostenibile. L’inflazione ufficiale, nonostante la promessa del governo di limitarla al 4,5%, da tre anni non scende sotto la media del 6%. Ma, soprattutto, non corrisponde alla percezione della forte diminuzione del potere di acquisto delle famiglie. Riduzione che secondo alcuni esperti è stata addirittura del 20% nel 2013.Quell’ampia fascia di elettorato che è stata sostenuta dalla politica assistenzialista del governo del presidente Ignacio Lula e, successivamente, dalla sua delfina Dilma Rousseff, non dovrebbe tuttavia reagire alla crisi con la stessa forza che ha spinto la classe media a scendere nelle piazze e ad allontanarsi dal governo. «Il Partito dei lavoratori ha sradicato dalla miseria oltre 40 milioni di brasiliani», ripete la Rousseff nei suoi comizi elettorali. Ma è la classe media, sempre più ampia anche grazie alla diminuzione della povertà, che oggi si sente trascurata e vede nell’evangelica socialista, Marina Silva, un’alternativa alla continuità del governo. Dilma Rousseff raccoglie, secondo gli ultimi sondaggi, il 39% delle preferenze, contro il 29% della Silva e il 20% di Aecio Neves, candidato cattolico del Partito socialdemocratico (l’opposizione tradizionale). Ma le proiezioni più recenti mostrano che al ballottaggio del 26 ottobre Dilma Rousseff  supererà Marina Silva con un margine risicato. L’attuale presidente e candidata ricorda che Marina Silva, ex ministro dell’Economia del governo Lula, ha cambiato quattro volte partito in tre anni. La candidata socialista ribatte: «Ho dovuto cambiare partito per non cambiare i miei ideali». Il programma di governo di Marina Silva, in realtà, diverge fortemente da quello dell’attuale presidente-candidata solo in alcune questioni etiche (come la legge che converte l’omofobia in reato) e sull’autonomia politica del Banco Central che per la candidata socialista non «può essere più controllato dal governo come avviene adesso».L'ago della bilancia al secondo turno potrebbe diventare Aecio Neves, ex governatore dello Stato del Minas Gerais. Un’alleanza con Marina Silva, non impossibile se la differenza di preferenze fra le due candidate fosse davvero minima, potrebbe rovesciare il pronostico secondo il quale il governo del Partito dei lavoratori potrebbe diventare lo schieramento che più a lungo ha governato il Paese dal ritorno della legalità democratica. Ma qualsiasi sia il risultato finale della contesa elettorale, il pronostico più difficile riguarda il futuro dell’economia. Marina Silva viene dal basso, ha sofferto la fame quando aiutava la famiglia a raccogliere il caucciù nelle piantagioni del misero stato dell’Acre, e un’ampia parte dell’elettorato teme sia incapace di governare un Paese sull’orlo dell’implosione economica. Dilma Rousseff potrebbe invece affrontare nuove ondate di protesta come quelle che hanno sconvolto diverse città del Brasile prima del fiasco organizzativo dei Mondiali di calcio. La continuità del governo per molti significa ancora troppa corruzione, troppa impunità, troppe poche opportunità per i giovani e per quell’ampia parte della popolazione che ha visto il costo della vita aumentare vertiginosamente. «Marina incarna il sogno di milioni di brasiliani che si identificano in lei come si identificavano il Lula: povera ma determinata a fare del Brasile un Paese migliore per le classi meno abbienti che rappresentano ancora la maggioranza dell’elettorato», spiega Daniel Alves, politologo della prestigiosa Fondazione Geatulio Vargas. Ma il timore di una svolta, nonostante la Rousseff non goda di una luce propria, dovrebbe prevalere su quello della continuità.
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