mercoledì 9 luglio 2014
​L'esame è finito: un esame duro e faticoso per i ragazzi come per i docenti. 
di Roberto Carnero 
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Carta da pacco, spago e due sigilli di ceralacca con il timbro tondo della scuola. È ancora un piccolo rito quando la commissione termina l’esame di maturità, confezionando il plico contenente tutti gli atti della procedura. Perché i documenti finali sono tuttora cartacei, nonostante le commissioni lavorino online con il sito del ministero e le tracce delle prove scritte arrivino alle singole scuole, la mattina degli esami, tramite internet, e non più nella maniera solenne e scenografica che vedeva i carabinieri portare a destinazione le buste sigillate. Insomma, l’esame è finito. In questi giorni le commissioni di tutta Italia stanno terminando i lavori. È un esame, quello di maturità, duro e faticoso, per i ragazzi come per i docenti. Nei giorni precedenti al suo inizio giornali e tv si producono in analisi e commenti pro e contro. Anche in noi professori qualche dubbio sorge; forse anche perché a fine anno scolastico la stanchezza si fa sentire e ci chiediamo se ne valga la pena. Poi quando sei in commissione capisci che quest’esame è importante. Prima di tutto per noi insegnanti. Perché incontri nuovi colleghi (la commissione è composta per metà da docenti interni alla scuola e per metà da insegnanti provenienti da altri istituti, oltre che da un presidente esterno), ti confronti con modi diversi di fare didattica, hai occasione di imparare cose nuove. Insomma, una straordinaria occasione di professionalizzazione e di aggiornamento. Me ne sono accorto anche quest’anno, catapultato – da professore in un liceo linguistico di Milano – a fare il presidente di commissione in un istituto professionale di un’altra città. E poi è importante, molto di più, chiaramente, per i ragazzi: è l’occasione di portare a sintesi un percorso, di misurarsi per la prima volta con docenti che non sono i loro, insomma di aprirsi al mondo esterno, che è quanto saranno chiamati a fare da domani. È anche un momento di gesti gratuiti e anche inaspettati. Come quello del ragazzo che al termine dell’esame si rivolge ai suoi professori e, stringendo loro la mano, esclama con spontaneità e con un anticipo di nostalgia: «Grazie di tutto, sono stati cinque anni meravigliosi!». Quale migliore soddisfazione professionale per un insegnante?
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