I sanitari assassini di Saronno e la cappa di indifferenza
giovedì 1 dicembre 2016

Sussurra all’orecchio il tuo nome e ti risveglia da un sonno senza sogni. È l’angelo che ti prende per mano riconducendoti nel mondo dei vivi e non importa quanto impegnativo sia l’intervento, un’operazione a cuore aperto o una banale appendicectomia. L’anestesista è il tuo angelo custode, sempre. E lei? Lei corre appena la chiami, ti porge i farmaci e ti sostiene se devi alzarti, accoglie le piccole confidenze con un sorriso, chiama il medico se il problema è serio. L’infermiera è un altro angelo e guai a sostenere il contrario.

Ma gli angeli cadono, talvolta. E decidono di trasformarsi in demoni. "Angeli e demoni", come il romanzo di Dan Brown e come il titolo dell’indagine della procura di Busto Arsizio che ha portato in carcere Leonardo Cazzaniga e Laura Taroni, anestesista e infermiera dell’Ospedale di Saronno. Dove altre quattordici persone, tra cui i vertici del nosocomio, sono indagati. Forse sapevano, ma fino a un certo punto. Sospettavano, ma tacevano. Intuivano, ma senza approfondire. Quattro anziani sono arrivati al Pronto soccorso vivi e ne sono usciti morti. Il marito di Laura è stato ucciso lentamente, avvelenato da una sapiente miscela di farmaci. Forse anche la madre e il suocero, addirittura degli zii hanno fatto la stessa orribile fine. Uccisi, eliminati, spazzati via. Perché?

Massimo Guerra, il marito, poteva intralciare la relazione tra infermiera e anestesista. Potrebbe essere un "motivo valido", anche nell’età del divorzio sempre più facile. Ma gli altri? L’apparente assenza di moventi è ben più agghiacciante della loro presenza, perché rivela il movente più banale e potente che è all’origine delle azioni umane: una perversa miscela di potere e piacere. Esercitare il potere, in alcune menti, è inebriante a tal punto da spingere a sperimentare il potere più tremendo, il potere di dare la morte. Non di restituire alla vita, ma di toglierla. Esercitare tale potere è una droga che, in quelle menti, procura ineffabile piacere. L’anestesista faceva tutto di nascosto ma fino a un certo punto, se è vero che nell’ospedale si parlava di "protocollo Cazzaniga". L’infermiera, nelle intercettazioni, parla di quella "voglia di uccidere" che la prendeva ogni tanto, una voglia da assecondare, perché no? Ne parla perfino con il figlio di 10 anni. Che pure sarebbe disposta ad ammazzare...

No, nessun raptus o "impulso" omicida. Quando ammazzi il marito a decine di dosi di farmaci, lentamente, hai tutto il tempo per ripensarci. È un omicidio studiato a tavolino, pianificato e messo in atto con cuore gelido. Eppure un cuore capace di innamorarsi, in grado di provare passione per il dottore. Un cuore non folle, semmai fin troppo lucido.

E gli altri? Forse (il dubbio è un piccolo, tenero conforto) dicevano a se stessi quello che molte, troppe persone – in questa epoca in cui i legami sono recisi, l’altruismo è deriso, la solidarietà è roba da ingenui – ripetono perché pare sia bene ripetere: non sono affari miei, non mi riguarda, non è un mio problema. Voci di quella «cultura dell’indifferenza» che papa Francesco non si stanca di denunciare e di chiamarci a capovolgere. Uscendo da una deriva iper-individualistica e menefreghista che arriva da lontano. Vent’anni fa, negli Usa un manuale di "auto-apprendimento" dal titolo E lìberati degli altri aveva venduto un milione di copie. Se vuoi essere felice, non immischiarti. Il "protocollo Cazzaniga"? Non è affar mio.

Gli altri, invece, sono sempre affar nostro. Specialmente se deboli e fragili. E affar nostro è accorgerci se qualche angelo è invece un demone. Perché poi, una volta che psicologi, criminologi e sociologi avranno esauriti i loro ottimi argomenti, per la tragica vicenda di Saronno varrà la semplice e ben più inquietante conclusione che diede il titolo a un celebre film di Robert Bresson. Perché accade tutto questo? «Il diavolo probabilmente».

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