martedì 12 agosto 2014
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«Ci lasciano increduli e sgomenti le notizie giunte dall’Iraq: migliaia di persone, tra cui tanti cristiani, cacciati dalle loro case in maniera brutale; bambini morti di sete e di fame durante la fuga; donne sequestrate; violenze di ogni tipo; distruzione di patrimoni religiosi, storici e culturali. Tutto questo offende gravemente Dio e l’umanità». Sono le parole accorate di papa Francesco domenica all’Angelus. L’ora è drammatica per migliaia di iracheni: cristiani e yazidi, soprattutto. La mobilitazione internazionale cresce, anche se sembra sempre troppo poco. Ma qualcosa, a livello mondiale, si è mosso. È importante. Aver parlato, supplicato, gridato e soprattutto pregato nei mesi e nei giorni scorsi ha risvegliato qualcosa. È giunto il momento di fare. E in fretta. È una crisi che mostra la brutalità e l’insensatezza di un totalitarismo. Ne abbiamo sperimentati nel XX secolo: oggi in Iraq ce n’è uno nuovo ammantato di religione. Ma, dice il Papa, «non si porta l’odio in nome di Dio». Qui c’è un punto di riflessione per tutte le religioni. La Chiesa cattolica ha aperto una strada con il Concilio e con lo 'spirito di Assisi', l’incontro voluto da Giovanni Paolo II nell’ottobre 1986 nella città di san Francesco. Allora il Papa convocò i leader religiosi mondiali per pregare per la pace. Voleva togliere ogni giustificazione alla violenza religiosa. La pace doveva tornare al cuore dell’impegno delle religioni. Nessuna guerra è santa, soltanto la pace lo è. La Chiesa e i cristiani continuano a cercare interlocutori in questo cammino. Lo fanno a partire dalla vicenda del secolo XX, in cui hanno sperimentato la violenza dei totalitarismi. Nel grande Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II volle ricordare i «nuovi martiri». Uno degli aspetti più significativi di quell’Anno Santo fu proprio la memoria dei 'nuovi martiri' al Colosseo, il 7 maggio 2000. Una commissione vaticana lavorò per far emergere le storie, i luoghi, i nomi dei milioni di cristiani che hanno dato la loro vita per ilVangelo in epoca contemporanea. Il Papa volle che fosse dedicata a Roma una basilica ai 'nuovi martiri', San Bartolomeo all’Isola Tiberina. I risultati di quella ricerca furono impressionanti: per il numero dei martiri e per la forza della loro testimonianza. La fede di milioni di persone ha fatto sì che il nostro mondo non fosse travolto dal male. E così oggi guardiamo ai cristiani iracheni, di diverse Chiese, non solo cattoliche, ma anche ortodosse e evangeliche, che soffrono enormemente per la persecuzione. Insieme a loro ci sono minoranze come gli yazidi, di cui molti non hanno mai sentito parlare. Le loro antiche tradizioni religiose si mischiano con quelle cristiane e musulmane. Il loro 'essere supremo' è Yasdan, considerato talmente elevato che non lo si può pregare direttamente. Ma ci si può rivolgere a uno dei suoi spiriti, il più grande, che è l’angelo pavone, Malak Taus, esecutore della volontà divina. Malak Taus è considerato come Dio, inseparabile da lui, e per questo si ritengono monoteisti. Gli yazidi pregano rivolti a quest’angelo cinque volte al giorno. Il loro luogo sacro è il monte Sindjar, in Iraq. Si tratta di una popolazione pacifica di cui è difficile stimare il numero (le cifre oscillano tra 70.000 e 500.000): piccole comunità sparse tra il nord-ovest dell’Iraq, il nord-ovest della Siria e il sud-est della Turchia. La storia li ricorda come protettori degli armeni e degli altri cristiani durante i massacri della prima guerra mondiale in Turchia. Il loro territorio divenne rifugio per i cristiani. Oggi guardiamo a queste sofferenze con la coscienza che si deve fare di più per loro: protezione, accoglienza, sostegno, aiuto. Tutti siamo chiamati a fare qualcosa e a pregare, come ci ricorda anche l’iniziativa della Cei per il 15 agosto. È necessario mobilitarsi perché tanto dolore finisca al più presto. Non vogliamo che cresca il numero dei 'nuovi martiri' in questo XXI secolo. Anzi, dobbiamo agire perché questa e altre tragedie, causate da nuovi totalitarismi, si fermino. Ma dobbiamo anche sapere che questa sofferenza – come fu quella di chi ci ha preceduto – è un richiamo a costruire ovunque una società più umana, più libera, più solidale, dove ci sia posto per tutti nella pace. E la pace la si costruisce insieme a tutti coloro che credono che nessuna guerra è santa, ma lo è soltanto la pace.
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