domenica 25 luglio 2010
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Caro direttore,l’occasione di scriverle mi viene dalla lettura di articoli sul tema dell’architettura sacra e di culto contemporanea, che compaiono spesso sulle colonne di Avvenire. Credo che oggi il tema soffra delle medesime difficoltà che l’intera architettura contemporanea sta attraversando, alla ricerca di un linguaggio che la rappresenti e che allo stesso tempo sia riconoscibile da chi ne fa uso e la abita. Nella storia dell’architettura, sino agli ultimi anni del XX secolo, il disegno del tempio cristiano è sempre avvenuto tenendo conto di due esigenze parallele: la rappresentazione del divino – e ben note sono le difficoltà che questa volontà ha incontrato all’inizio della storia cristiana – e la partecipazione dell’uomo a questo incontro. L’aspetto divino-spirituale si è quasi sempre risolto con lo studio dell’uso di alcuni elementi propriamente architettonici: la luce è stata governata secondo precisi calcoli astronomici, geometrici, simbolici concretizzati nella posizione, nella forma e nella disposizione delle aperture; lo stesso dicasi per le costruzioni medesime, nella scelta del sito, nella tipologia, nelle proporzioni, dimensioni, numero di campate, navate, absidi ecc. L’introduzione dell’aspetto umano-naturale è, invece, quasi sempre affidato alle arti sorelle dell’architettura: pittura, scultura e arti applicate in genere (oreficeria, falegnameria, lavorazione del marmo, vetraria…). Queste arti hanno fortemente introdotto nella scatola architettonica – e quasi mai in contrasto con essa – l’elemento quotidiano, il sorriso e la mano tesa al fedele che entrando nel tempio è condotto al cospetto di Dio. Un vastissimo programma iconografico, nel quale tre sono i temi maggiormente rappresentati: il Cristo, la Vergine Maria e i Santi, individuabili lungo l’intero arco temporale che copre due millenni di storia. Ma cosa resta oggi di questi tre temi? Il Primo è quasi scomparso: ridotto a un gioco di ombre il volto o la silhouette del corpo, resta il simbolo della croce, ma questo è il più delle volte così deformato da essere sfigurato: le dimensioni, i rapporti proporzionali, i materiali della Croce non sono più riconoscibili, diventando simili al segno matematico più, o a un Tau, o il più delle volte a delle virgole proprie di una gestualità calligrafica: nessuna di queste croci potrebbe portare il corpo di Dio fatto uomo, come possono condurre a Lui lo sguardo del fedele in preghiera? La Seconda si tramuta anch’essa da Madre amorevole e pura, in una smagrita corporatura dove emancipato si confonde troppo con emaciato. I Terzi sono i grandi assenti. I Santi sono spariti del tutto: non c’è più posto per loro, spesso neppure nelle dedicazioni. Eppure proprio i Santi sono presenza fondamentale e viva della vita cristiana, la cui comunione è annunciata in ogni festa dall’assemblea dei fedeli. Forse la mia cultura contadina mi spinge a cercare più con il corpo che con la mente la salvezza, e senza pretendere di parlare su temi che non mi appartengono come studioso, ma solo come fedele, pure sento una profonda solitudine nelle chiese contemporanee: sono abitate di luce, suggestiva e quasi sonora, ma è luce di chi? Entità soprannaturali? Forze nascoste e gnostiche? Insondabili abissi della natura? Entrare nella casa del Signore e trovarla piena di invitati che mi hanno preceduto e che ora riposano nei loro sarcofagi o hanno lasciato il ricordo del loro passaggio e delle loro opere sotto forma di statue e dipinti, vedere la prova concreta che molti uomini prima di me hanno fatto del loro agire una testimonianza di fede, mi fa sentire parte di una famiglia e di un percorso che non sto facendo da solo nella luce, ma all’ombra dei Santi che mi hanno preceduto, con gli occhi rivolti in quelli della Madre.

Luigi Chirone, architetto

La sua riflessione, caro architetto, è appassionata e stimolante. Frutto, mi permetto di dire, di una ben strutturata nostalgia. Perché un sentimento così complesso e importante si riveli non solo profondo, ma anche utile credo sia necessario tenerlo saldamente orientato al domani. Da cristiani, possiamo essere capaci di suscitare in noi stessi e nelle nostre comunità una straordinaria forza quando riusciamo a nutrire quella che mi piace, appunto, chiamare la "nostalgia del futuro". Abbiamo nostalgia dell’incontro con Cristo – che è avvenuto, avviene e avverrà. Abbiamo nostalgia del Regno – che è stato, che è già qui e che verrà. Abbiamo nostalgia di noi stessi, salvati – e perciò cerchiamo tracce e volti di bontà e di santità. Lei, gentile amico, è per mestiere un costruttore, un uomo che pensa e "fa" luoghi. È giovane e, dunque, le auguro di esserlo a lungo e con entusiasmo – quello che c’è al fondo delle sue parole – e mai, mai, con rimpianto. Le auguro, insomma, di essere interprete della cultura di cui è erede giustamente orgoglioso e capace di arricchirla da uomo di questo nostro tempo. Si dice che chi costruisce case dà un tetto ai giorni e ai sogni dell’uomo. Chi costruisce chiese ci aiuta addirittura a essere contemporanei a Dio, e dà un tetto al Cielo.
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