I complici-clienti del narco-jihadismo
giovedì 2 luglio 2020

C’è un filo rosso di sangue e terrore che collega le ferali violenze dei terroristi del Daesh, le provette di oscuri laboratori in Medio Oriente e i profitti criminali dei boss del narcotraffico italiani e stranieri. Un filo di obnubilamento malato che accomuna, in un delirio onirico di pretesa onnipotenza e finta invincibilità, il jihadista pronto a diventare un kamikaze, il miliziano che combatte in Libia, il ragazzotto che suda col cuore a mille in un rave e il manager ansioso di raggiungere le migliori performance, lavorando per giorni senza toccare cibo né letto. Ieri quel filo subdolo e malvagio, che attraversa il pianeta, è transitato per il porto italiano di Salerno.

E solo per l’acume investigativo della Guardia di Finanza e della procura di Napoli – capaci di individuare, dentro container di bobine di carta, 14 tonnellate di droga – non è proseguito oltre, inondando le piazze di spaccio europee e di altri continenti. Un blitz che ha privato i tagliagole del Daesh e i boss della narcofiliera di potenziali profitti per un miliardo di euro, poco meno del Pil annuo di uno Stato africano come il Gambia. I container erano a bordo di una nave proveniente, guarda caso, dalla Siria e le bobine di carta destinate a una società registrata in Svizzera.

Ognuna di quelle pasticche, i finanzieri ne hanno contate 84 milioni, portava impressa la scritta «Captagon». Un logo che è, insieme, identità e marchio di fabbrica di un combinato chimico di anfetamine, definito come “cloridrato di fenitillina”. Un coctkail micidiale indicato dai rapporti di 007 e delle agenzie antidroga con epiteti evocativi, come “droga della jihad” o “chemical courage”, perché usato da terroristi e combattenti per cancellare i freni inibitori della prudenza e della paura prima di un’azione.

Elaborazione di un prodotto farmaceutico tedesco degli anni Sessanta, il Captagon si è affacciato nei teatri di guerra mediorientali fino a diventare lo stimolante preferito dal califfato nero e dai suoi sodali del terrore in Asia, Africa ed Europa. Si parlo di tracce di Captagon, non confermate, nel 2015 dentro un covo degli autori della strage del Bataclan, a Parigi. Sempre in quell’anno, la sostanza fu rintracciata nel sangue di uno degli attentatori del massacro sulla spiaggia di Sousse, in Tunisia. E alcuni rapporti segnalano notizie di bambini storditi col Captagon in Nigeria da Boko Haram.

C’è peraltro chi avanza dubbi su quelle valutazioni, sostenendo che gli integralisti islamici non assumano stupefacenti. Convinzioni che in ogni caso non impediscono al Daesh di accumulare miliardi trafficandoli. E di farlo anche in epoca di Covid–19, come Lucia Capuzzi ha raccontato domenica scorsa 28 giugno su queste pagine, insieme ai network globali dei narcos (messicani, colombiani, russi, afghani, italiani) che non hanno smesso di spostare carichi, in barba al lockdown. Tristemente, tutto ciò non interessa ai consumatori, in Occidente come altrove. Chi assume quella pasticca, quasi mai pensa al filo rosso che la lega a luoghi di sangue e di orrore. O al fatto che la manciata di euro messa in mano al pusher della camorra o di altre mafie finanzierà una filiera di morte, abusi, prevaricazioni e crimini di ogni sorta. Il consumatore, che sia un adolescente, un atleta amatoriale o un capitano d’azienda, anela solo a ottenere, mandando giù quel mezzo grammo di anfetamine, le sensazioni chimiche che gli darà: euforia, perdita delle inibizioni, impressione di forza e di resistenza alla fatica.

Lui, o lei, non vuole sapere delle bombe del Daesh: vuole ballare per ore, lavorare per giorni, accedere a un mondo illusorio e frenetico dove tutto appare possibile. Non sa neppure che corpo e cervello pagheranno un prezzo caro per quel consumo, dapprima sotto forma di ansie, disturbi del riposo, malnutrizione e poi con problemi circolatori e cardiaci, fino all’infarto. Purtroppo, nonostante una pletora di allerta investigativi e dossier d’intelligence (dalla Dea americana alla Dcsa italiana, dagli 007 del Dis agli analisti di Interpol), quel filo rosso resta invisibile agli occhi di chi non vuol vedere.

Ora il maxisequestro di Salerno lo ha fatto irrompere, per mezza giornata, nei titoli di giornali e tg. Basterà a convincere qualche “consumatore” a spezzare il filo, interrogandosi sulla propria dipendenza? Nel frattempo, il contrasto investigativo, giudiziario, legislativo ed educativo al narcotraffico e il sostegno sanitario e terapeutico non possono conoscere soste. Dal 1973 a oggi, nella sola Italia, le droghe hanno ucciso per overdose 25.780 persone. Figli, fratelli, sorelle, madri e padri strappati ai propri cari e alla vita. Non meritavano di finire così, solo per ingrassare le tasche dei venditori di morte.

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