Ha ucciso il padre, ed è bene che studi per la maturità
sabato 9 maggio 2020

C’è un ragazzo che frequenta l’ultimo anno prima della Maturità in una scuola alberghiera di Collegno, a scuola va benissimo, ha fatto un tema d’Italiano proprio una settimana fa commentando un discorso di Mattarella e uno di papa Francesco con sensibilità e intelligenza. A scuola tutti lo amano e lo considerano felice ed equilibrato. Ma a casa aveva un problema che non sapeva come affrontare, e cioè il padre che s’ubriacava e picchiava la madre. Pochi giorni fa questo ragazzo, che si chiama Alex, all’ennesimo pestaggio con urla non ha retto più: ha afferrato dei coltelli e ha ucciso il padre. Ora è in carcere.

L’accusa è terribile: parricidio. Si pone un problema minore (tutto è minore rispetto a un parricidio) ma urgente: fargli fare o no la Maturità? Ne discutono giornalisti, insegnanti, scrittori, psicologi. Ognuno s’interroga: io gli lascerei fare l’esame di Maturità? Me lo chiedo anch’io. E rispondo: Sì. Ci sono dei particolari nell’omicidio che possono risultare delle aggravanti, il numero delle coltellate, 24, e il numero dei coltelli, 4.

Quindi, suppongo, la durata dell’omicidio, che dev’essere stata lunga. Ma la lunga durata dell’omicidio, se a volte, o molto spesso, può indicare la ferma volontà omicida dell’assassino, altre volte può indicare la gravità della sua alterazione, la follia che lo ha travolto. E in ogni caso tutto ciò può avere un peso sulla condanna. Ma la condanna deve comunque e sempre permettere, anzi favorire, un ravvedimento. Se si condanna uno che ha ucciso, bisogna aiutarlo a capire cosa ha fatto. E l’esame di Maturità può essere un aiuto a capire? Lo studio in carcere serve? Frequentare lezioni, leggere libri, studiare in prigione è utile? I libri sono uno strumento di rieducazione? Tutti i libri, anche quelli scolastici, di storia, di letteratura, di lingue? La mia risposta è sì. Studiare è formante, ma è anche trasformante.

Oserei dire (ma non lo dico, non voglio spingermi troppo oltre) che perfino imparare a mettere gli accenti aiuta a imparare a vivere. Il caso di questo ragazzo è tutto imperniato sul conflitto che gli si scatenava dentro vedendo la madre picchiata: voleva difenderla ma non sapeva come, troppo giovane per capire che c’è la società e che lui poteva far denuncia, lui vedeva che il pestaggio avveniva in casa e in casa c’era lui, toccava a lui intervenire. È intervenuto. La società, che non faceva nulla, lo punirà per averla sostituita. Studiare significa per lui procurarsi gli strumenti adesso per capire domani l’errore di sostituirsi alla società. Ci vuol tempo, anni, e ci vogliono anche libri, tanti. Ma gli anni di carcere saranno più utili se i libri che leggerà saranno veri libri. E i libri sono essenzialmente strumenti di redenzione. Tutti i libri degni di questo nome.

Un libro che non migliora il lettore non è un libro, è un pacco di parole. Io glielo farei fare l’esame di Maturità, a questo ragazzo, e se fossi un giudice guarderei bene cosa e come risponde: la sua condannabilità o la sua perdonabilità, il suo essere nel Bene o nel Male, si vedono anche da come risponde in Letteratura Italiana o in Storia. Il tempo stringe. Se c’è una petizione online sulla Maturità di Alex, qui voto sì.

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