sabato 2 aprile 2022
I civili trovati uccisi dopo il ritiro russo riportano alla ribalta i presunti crimini degli invasori. I rinforzi militari possono allontanare la prospettiva di un negoziato. Speranze nel Papa a Kiev
Guerra giorno 38: tra carrarmati offerti dagli Usa e nuove atrocità denunciate
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La guerra giunta al 38° giorno svela, ancora una volta, il suo volto più brutale e violento al ritirarsi dell'Armata russa da alcune cittadine conquistate nell'area di Kiev e ora abbandonate nella manovra di ripiegamento verso Nord. A Bucha, testimonianze di giornalisti internazionali segnalano la presenza sulle strade di almeno venti cadaveri di civili colpiti a morte, molti con un proiettile in testa, uno anche con le mani legate. Altri racconti parlano di esecuzioni di tutti gli uomini tra i 16 e i 60 anni che non sono riusciti a scappare e lo confermerebbe una fossa comune con 300 corpi. Ci vorranno lunghe inchieste imparziali per stabilire, se mai sarà possibile, l'esatta dinamica di queste stragi. Ma è difficile al momento sopravvalutare quanto spesso la popolazione sia finita nel mirino degli attacchi delle forze di Mosca, a Bucha come in molte altre zone. Tanti residenti hanno certamente messo in atto una resistenza attiva e passiva, ma fare fuoco sui non belligeranti rimane un crimine di guerra. E le denunce alla Corte penale internazionale si stanno moltiplicando.

Mariupol è la città che sta più soffrendo per le atrocità commesse e la quasi impossibilità di fare evacuare gli abitanti rimasti intrappolati nei feroci scontri quartiere per quartiere, casa per casa, che hanno come obiettivo il controllo di un centro strategico per i piani del Cremlino. La conquista di tutta la fascia costiera per saldare il Donbass con la Crimea ed escludere l'Ucraina dallo sbocco sul mare rimane probabilmente il principale risultato che Putin spera di ottenere prima di sedersi al tavolo dei negoziati. Le sorti dei combattimenti in questa zona non sono tuttavia segnate. E l'esito rimane incerto. Nelle ultime ore non si rilevano svolte sul campo, se non per l'annuncio, non ufficiale peraltro, di una fornitura di carri armati a Kiev da parte americana,

Anticipata dal "New York Times", la decisione potrebbe spostare ancora un po' gli equilibri a favore dell'esercito di Kiev. I mezzi corazzati promessi sono "vecchi" modelli russi, ma comunque efficaci e in grado di migliorare le possibilità di manovra dell'apparato militare che oltre cinque settimane di sforzi intensi hanno inevitabilmente indebolito. D'altra parte, questi rinforzi, per ora solo sulla carta, sembrano ridurre i margini di una trattativa. Lo ha fatto intendere il presidente Zelensky in un'intervista alla Fox News (sebbene l'emittente Usa vicina ai repubblicani possa averlo indotto a calcare i toni bellicisti). "Non ammettere l'Ucraina nella Nato è un errore, perché Kiev renderebbe l'Alleanza molto più forte", ha detto. "Non siamo uno Stato debole. Non stiamo proponendo di renderci più forti a spese della Nato. Non saremmo un'aggiunta, ma una locomotiva", ha concluso il leader ucraino, apparentemente rimangiandosi le dichiarazioni solenni sulla rinuncia all'ingresso nell'Alleanza Atlantica.

Di conseguenza, il fronte diplomatico rimane tristemente fermo. La volontà di negoziare è scarsa da entrambe le parti, anche in mancanza di una mediazione costante e credibile. Il solo accenno del Papa a un futuro viaggio a Kiev potrebbe riaccendere la speranza di una iniziativa di pace che possa acquisire finalmente concretezza. Attualmente, ancora troppi sono i nodi che si debbono sciogliere e troppe le valutazioni divergenti degli attori coinvolti. Innanzitutto, Putin è deciso a ottenere qualche risultato chiaramente identificabile da vantare in patria. Va infatti considerato che, malgrado il massiccio sforzo propagandistico, le notizie filtrano anche attraverso la cortina della censura e sarà complicato mostrare a lungo uno scenario edulcorato di successi in Ucraina e di normalità in patria, quando aumentano le bare dei soldati rimpatriate e l'economia scricchiola sotto le sanzioni.

Kiev, dal canto suo, conta sul sostengo statunitense per ribaltare una guerra che la vedeva sconfitta in partenza e ora invece può essere almeno "pareggiata". Il fronte occidentale, compatto nella strategia generale, comincia a mostrare divisioni sul trattamento da riservare al presidente russo. Washington punta a indebolirlo sempre più. L'Europa, per diverse ragioni, anche interessate, è maggiormente propensa a un negoziato che permetta di ristabilire un accettabile equilibrio nel continente. Tutto questo rende estremamente arduo trovare un punto di incontro per sancire una tregua e costruire la via verso quella pace che tutti, a parole, dicono di volere.



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