venerdì 10 gennaio 2014
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Una data già individuata per il voto - 25 maggio - e la ricerca spasmodica di un incidente, se più d’uno meglio, che possa accelerare in questa direzione. Lo racconta Silvio Berlusconi ai suoi: «Il governo non regge più, lo farà cadere Renzi, tenetevi pronti». E gli uomini del sindaco di Firenze non fanno niente per non accreditare quest’idea, anche se qualcuno sostiene di sperare in Mario Monti, che con i suoi 8 senatori potrebbe agevolargli l’imbarazzante incombenza. Se tre indizi fanno una prova la fotografia di questa giornata convulsa - il cui coronamento non poteva che essere il rinvio dell’incontro fra il premier e il segretario del Pd - ne regala almeno sei. Inizia il renziano Fausto Nardella ad aprire il fuoco sul ministro Fabrizio Saccomanni per il "pasticciaccio brutto" degli scatti (tolti e poi ridati) agli insegnanti: «Penso che il Ministero dell’Economia debba essere guidato da un politico», dice, costringendo la segreteria del Pd a un’imbarazzata precisazione, per dire che Renzi non punta a sostituire ministri. Ma a logorarli sì, si potrebbe malignare. Ed è lo stesso Nardella a fornire il secondo indizio per un possibile incidente: la legge elettorale. Sul nuovo sistema di voto, fra Pd e Fi non ci sono semplici segnali di fumo: c’è molto di più. «I paletti sono gli stessi - election day, un turno, maggioritario, bipolare - chiesti dall’onorevole Brunetta, quindi ci siamo», conferma Nardella. Quanto alle soluzioni il Pd continua a sostenere il "suo" Mattarellum, ma dentro Forza Italia sono convinti che pur di andare al voto Renzi sarebbe pronto a concedere il sistema "spagnolo" e le liste bloccate che - Consulta permettendo - Berlusconi chiede. Nel tritacarne - indizio numero quattro - finiscono anche altri ministri: Nunzia De Girolamo per il caso Asl Benevento e lo stesso Alfano, accusato ancora di aver mentito sul caso Shalabayeva dai senatori renziani Cociancich e De Monte. E il quinto, il no di Scelta civica all’emendamento sulla nuova Tasi, rimanda al ruolo di Monti recatosi fino a Firenze per blindare un patto con Renzi. Manca il sesto, ma tocca ad Alfano ricordare che lo strano rilancio del segretario del Pd sulle unioni gay - un tema che prima non lo aveva mai appassionato - può servire anch’esso allo scopo. E cioè far svanire le ragioni di un’alleanza sempre più in difficoltà.
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