Gli «scossoni» dall'Alto che fingiamo di non capire
mercoledì 16 gennaio 2019

Caro direttore,
«I popoli della fame interpellano in maniera drammatica i popoli dell’opulenza» (mezzo secolo fa, Paolo VI). Un appello rinnovato nella Laudato si’ che vede, a causa dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento del pianeta, la fuga di milioni di persone da aree rese invivibili dai nostri stili di vita consumistici. L’abisso cosmico tra il ricco e il povero annunciato dal Vangelo nella famosa parabola dell’epulone sembra vada allargandosi sempre più. Con straordinaria energia spirituale e umana una bolla del Papa aveva inaugurato un provvidenziale Giubileo della Misericordia. Era ieri, ma sembra sia stato già relegato in un tempo lontanissimo. E così nelle belle feste del santo Natale che abbiamo appena vissuto ci siamo trovati con 49 persone alla deriva sul mare. Ci sono voluti giorni e giorni, perché si arrivasse a una soluzione giusta e umana. Eppure si trattava di un numero di persone minimo. La risposta più appropriata sarebbe stata l’immediata disponibilità ad accoglierli tutti e quarantanove. Per questi nostri meravigliosi paesi di montagna, così “scarnificati” da non riuscire più a dare vita vera ai servizi indispensabili, sarebbero stati una manna... Quarantanove, un numero da interpellare ogni singolo cittadine europeo. «Ero alla deriva sul mare e nell’angoscia e tu non mi ...». Come non sentirci addosso questo Giudizio? Già ci siamo abituati alla criminale realtà che vede centinaia di milioni di persone con scarsità di pane. Pane, almeno quello! «Abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agire umano (...) l’umanità ha deluso l’attesa divina». ( Laudato si’, 61). Mi dirà che c’è tanta bontà e bene in circolazione, ma mi pare del tutto impotente a rompere le catene inique. Sembra quasi che a spezzare le potenti strutture (di peccato) in cui ci siamo accomodati ci voglia uno scossone dall’Alto. Grazie per il vostro impegno.

Enzo Giacomin Lamon (Bl)

Uno «scossone dall’Alto»? Certo che serve, caro amico. Anche se in realtà, ne arrivano in continuazione, ma troppi fanno finta di nulla e questo – come papa Francesco non cessa di ricordarci – è il vero dramma del nostro tempo: l’indifferenza. Indifferenza che è incapacità di leggere i segni dei tempi e di ascoltare la creazione, ma soprattutto è disattenzione o addirittura fastidio per il grido del povero ed è dimenticanza di Dio. Le due cose, per noi cristiani, sono indissolubilmente unite, perché il Dio-Amore che Gesù Cristo ci ha rivelato ha il volto del povero. Di ogni povero. Dirlo e agire di conseguenza per più di qualcuno sarebbe stucchevole “buonismo”, peccato che predicare e agire in senso contrario significhi bestemmiare la nostra stessa umanità e crocifiggere di nuovo Dio.

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