martedì 30 gennaio 2018
«Quando dai l’elemosina al povero, tocchi la sua mano o fai cadere la moneta in modo da non avere un contatto?» ...
Gli occhi di Francesco gli occhi di Gesù
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Caro direttore,
«Quando dai l’elemosina al povero, tocchi la sua mano o fai cadere la moneta in modo da non avere un contatto? Lo guardi in faccia o mentre dai il soldo i tuoi occhi guardano già altrove?». È una tra le prime domande che ci fece Francesco appena diventato Papa: noi guardiamo il povero, o il nostro sguardo è lesto a precederci e pensa già ad altro? Fin dalle prime battute sono stati gli occhi di Francesco a parlarci, prima della bocca, fin da quella espressione enigmatica con cui in silenzio si mostrò dalla piazza San Pietro al pianeta intero, per poi chiamarci fratelli e spiegare che il vescovo di Roma era venuto «quasi dalla fine del mondo»: lo sguardo spaziava sulla folla, la folla lo guardava. Poi ha chiesto di pregare tutti assieme per lui...

Ancora sguardi. Anno 2013, Casal del Marmo, il carcere romano dei minori. Il corpo di Francesco è prostrato nel gesto servile e fraterno della lavanda dei piedi, li bagna, poi li asciuga con cura: infine restando abbassato al suolo alza solo quei suoi occhi e trafigge il cuore dei dodici ragazzi, fissando a lungo ciascuno di loro. Non è uno sguardo collettivo ma personale, uno a uno. E non è un giudizio, ma una dichiarazione d’amore: il gesto compiuto da Gesù per Pietro come per Giuda, per l’amico come per il traditore. Perché anche l’amico tradirà tre volte, ma resterà amato.

Sono esattamente questi gli occhi che l’altro giorno a Roma hanno trafitto me, il povero che Francesco ha guardato e toccato mentre mi dava l’obolo prezioso del suo incontro. Quanto è durato? Non saprò mai dirlo, forse un secondo, forse meno, ma l’incendio è divampato perché – nei suoi – io ho visto gli occhi di Cristo in tutte le loro sfumature. Ho visto il verde cangiante dietro cui si nasconde la luce infinita della misericordia. Ho visto il rosso folgore che ha immobilizzato Pietro e Andrea e Giacomo e Giovanni, e li ha 'costretti' a seguirlo. Ho visto il nero della notte in cui, impaurito, aveva chiesto «pregate con me, non lasciatemi solo», ma chi lo amava si era addormentato. Ho visto il bianco incandescente dell’amore per il mondo, anche se è un mondo malato e lo fa soffrire.

Allora ho capito: nei momenti storici che stiamo vivendo, in cui l’umanità è minacciata come mai prima d’ora e la divisione è tale che persino la guerra mondiale è «a pezzetti», noi non siamo soli perché in Francesco abbiamo lo sguardo di Cristo sulla terra, e questo sguardo riconosce i milioni di Cristi che muoiono oggi sulle croci da noi costruite. Mi è bastato quel secondo per riconoscere negli occhi di Francesco la promessa mantenuta di Gesù, salito al Cielo non per abbandonarci ma per estendere il suo amore a tutti gli uomini che lo cercano, che lo trovano, che lo seguono.

E ancor più a chi non fa nulla di tutto questo. «Non dimenticate di pregare per me», ci chiede il Santo Padre insistentemente, a volte tristemente, e in quell’intenso secondo a tu per tu ho visto con chiarezza anche questo: la sua è la solitudine dell’orto degli ulivi e oggi tocca a noi scegliere se dormire, come fecero i discepoli a lui cari, o piegare le ginocchia e pregare accanto a lui mentre avanza la notte. Io finalmente ho capito, tenendo le sue mani, e ho scelto. Rimarrò sveglio, pregherò per lui e con lui, non mi tirerò indietro, scruterò nella notte la sua luce, la luce di Dio che illumina ogni uomo. In attesa dell’alba.

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