lunedì 3 marzo 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro direttore,un altro giorno sta per finire. Nella mia famiglia si è soliti, dopo cena, trovarsi tutti insieme, nel salone di casa, a guardare la tv o semplicemente a parlare delle vicende quotidiane. Ma, oggi, proprio non riesco a fingere che tutto vada bene. Mi chiudo in camera e le scrivo per sfogarmi. Mi presento. Ho 26 anni e vivo con la mia famiglia in una cittadina piemontese. Mi sono laureata a ventitré anni in Giurisprudenza, a Torino. Nella mia famiglia lavorava solo mio padre così, mentre studiavo, ho svolto qualche impiego per poter essere più indipendente e cercare di contribuire alle quotidiane spese familiari. Nonostante questo, grazie a tanti sacrifici e a tanta determinazione, mi sono laureata, iniziando subito dopo il mio periodo di praticantato presso diversi studi legali. Ho trascorso due anni a fare su e giù da Torino. Tutto per una retribuzione che, al massimo, ha raggiunto i 300 euro al mese, per 8 ore giornaliere di lavoro. 300 euro che, considerando le spese per la benzina e il parcheggio a pagamento, svanivano nel nulla. In attesa dell’esame di Stato, ho dovuto, per scelte economiche, abbandonare il "mondo" legale per svolgere i lavori più diversi, dall’addetta di call center alla commessa. Ero indecisa, preoccupata per il mio futuro ma di certo non potevo buttare al vento tutti i sacrifici fatti. Studiavo e lavoravo ancora, e ancora. Ora sono passati più di due mesi dalla prova scritta per il conseguimento del titolo di avvocato e mi ritrovo a casa, senza lavoro e senza speranza. Passo intere giornate a inviare curriculum a destra e a sinistra, per qualsiasi attività, e vago per la città, nei negozi, nei supermercati, ma la risposta è sempre la stessa: «Siamo desolati, non assumiamo più, è già tanto che riusciamo a rimanere ancora aperti»; «Mia figlia è nelle tue stesse condizioni»; «Le tasse ci stanno uccidendo». Nel mio ambito o sei avvocato e allora puoi sperare di guadagnare un po’, o non vali niente, la paga è sempre la stessa, non interessa se hai esperienza o meno, si parla sempre di 300 euro. La tristezza regna sovrana. L’Italia è fatta da italiani che hanno sempre lavorato e combattuto nel giorno per giorno; non siamo un popolo di vigliacchi. Ma che cosa si sta dicendo a noi figli? Di non studiare più, ma di sperare di diventare un calciatore o una velina? E noi giovani per che cosa continuiamo a studiare? Forse solo per andarcene, ormai... Io però voglio restare in questo Paese, perché qui sono nata e qui vorrei tanto creare una famiglia tutta mia e crescere i miei figli. Ma a 26 anni mi ritrovo a casa dei miei genitori, perché non posso affittare casa, senza un lavoro stabile e soprattutto senza sapere se e quando riuscirò a trovarlo. Mi chiedo come in questo Paese una coppia giovane possa riuscire a sposarsi, avere una casa e dei figli. Come si fa? Il mio, caro direttore, è un appello ai politici che ci rappresentano, che hanno la possibilità e il dovere di far cambiare le cose, di aprire gli occhi, di smettere di raccontare che «la crisi è finita»… Siamo stanchi di parole e di bugie. I nostri politici facciano un giro tra la gente, si mettano nei panni di un artigiano che ogni giorno apre la sua bottega e non sa come sfamare la sua famiglia, di un padre che non sa più cosa promettere ai suoi figli, di noi giovani che non sappiamo più che fare per non scappare via. Il nuovo premier Matteo Renzi dice che ci "mette la faccia" e che vuol produrre uno "choc" salutare per ridare lavoro a persone e imprese. Io dico anche a lui che siamo stanchi di parole, servono fatti. Io spero, resisto e prego per questo. E prego anche perché il nostro caro papa Francesco continui a infondere a tutte le persone, e soprattutto a noi giovani, la fede per andare avanti, per affrontare la vita di tutti i giorni nell’onestà e secondo i valori che Dio ci ha indicato. Ho il desiderio di sposarmi per promettere davanti al Signore il mio amore e farmi una famiglia tutta mia. Sono una voce come tante, una laureata senza lavoro, una che ancora vuole crederci.Stefania D.La sua, cara Stefania, è una “lettera dal fronte”. Per tanti versi simile a quelle che i giovani italiani di altre epoche scrivevano, raccontando realtà di guerra, ansie di pace, desideri di futuro, semplici attese di amore. Se Matteo Renzi la leggerà – e io spero che lo faccia – si sentirà più impegnato che mai a “cambiare le cose”, a trovare quelle risposte che, nonostante tutto, sono attese con speranza persino più forte dell’angoscia da tanti italiani e, soprattutto, da tantissimi giovani. La sua «voce come tante» è utile e preziosa perché aiuta a dare volto e profondità umana ai gelidi numeri della grande crisi con i quali continuiamo a misurarci. Appena ieri, sulle nostre pagine, abbiamo infatti dato conto di una sorta di drammatico rapporto dell’Istat sullo stato dell’Italia del lavoro, della pesantissima situazione che dal 2013 si è proiettata sul primo scorcio del 2014. Abbiamo registrato il brusco accentuarsi di una debolezza già manifesta da tempo. Dati «allucinanti», ha commentato il premier, con negli occhi – credo – anche e soprattutto lo sterminato esercito di 1 milione 803 mila persone di età compresa tra i 15 e i 34 anni che fra il 2008 (anno di inizio della crisi) e il 2013 non hanno più avuto o trovato lavoro. Un saldo negativo generazionale di devastante gravità, un numero-macigno che spiega quasi tutto dell’Italia di oggi. Lei, cara dottoressa e, le auguro di cuore, prossima avvocato, è una di questi nostri figli. Ed è parte di un’altra schiera in aumento, quella dei “precari” che hanno perso e continuano a perdere anche la loro instabile (e spesso insufficiente) fonte di reddito. Eppure non si arrende. E le sue parole, cara e giovane amica, hanno una forza speciale, perché possono far capire con grande efficacia persino ai distratti le ragioni per cui pure noi di “Avvenire” – come ogni persona capace di tenere gli occhi sulla realtà di vita e sull’impoverimento della gente vera e non su certi inutili castelli di favole ideologiche o gossippare – insistiamo sino allo spasimo nell’indicare a Governo e Parlamento in “lavoro” e “famiglia” le due lancinanti priorità per un’Italia che vuol riprendere a progettare, costruire, fare, condividere, generare… Che vuol continuare o ricominciare a «crederci». Energie e risorse vanno concentrate su questi obiettivi. È possibile farlo, ed è indispensabile. Dico grazie a lei, cara Stefania, per averlo saputo dire in modo così semplice e coinvolgente, raccontando di sé. Spero di poter dare presto atto a chi ci rappresenta e ci governa di aver saputo compiere la svolta promessa e necessaria.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI