mercoledì 6 giugno 2012
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Europa. In qualunque lingua la si declini, è parola dolcissima, come soave è la sua origine. Europa, figlia di Agenore re di Sidone, il cui etimo significa "ampio sguardo", "ben irrigata" e anche "luna piena", che squarcia il velo del mito ed entra nella Storia in una fiduciosa e consensuale fuga amorosa con il padre degli dèi tramutatosi – come racconta Ovidio – in toro dal colore quale neve non calpestata da orme di greve passo, che nulla di minaccioso ha nell’aspetto, né lo sguardo incute paura; l’espressione foriera di pace. Il suo non è un rapimento, come a torto si vuol credere, ma la nascita di una civiltà che ci è diretta progenitrice.Ma cosa dirà un domani ai nostri figli la parola "Europa"? Che cosa ricorderà loro? Cosa susciterà nell’animo di milioni di uomini e donne che avranno vissuto gli anni migliori della giovinezza nell’ansia di una povertà incombente, di un futuro senza promesse, di un lavoro che non c’era o che hanno perduto, l’età – come avrebbe detto Garcia Lorca – di un grande doloroso desencanto che riguarda tutti noi? A chi dare la colpa? A una crisi finanziaria che – come hanno scritto su queste colonne Leonardo Becchetti e Giancarlo Marini – è costata sino ad oggi al mondo almeno cinque volte il debito pubblico italiano ed ha causato la crisi dei debiti pubblici in uno scenario in cui il valore nominale dei prodotti derivati – gli stessi all’origine della crisi dei mutui subprime del 2007 – è pari a dieci volte quello del Pil mondiale? Colpa degli americani, come ha ricordato ieri il neoministro degli Esteri francese Laurent Fabius, nel rammentare che la «Lehman Brothers non era una banca italiana né francese»?E che dire di quel sempre più acre rimbrotto che dall’altra sponda dell’Atlantico giunge fino alle spiagge europee e ci accusa di omertà, ignavia, lentezza, ambiguità nell’affrontare la crisi? Rampogna non senza fondamento, ma che un Obama in forte crisi di credibilità è costretto a reiterare per arginare lo sfarinarsi del suo consenso personale a pochi mesi dalle elezioni presidenziali che rischia seriamente di perdere. A chi dunque la palma del peggiore? Alla miopia della cancelliera Merkel, arcigna guardiana di una irrealistica assoluta purezza nelle discipline di bilancio e indifferente alle sorti altrui, che sconfina in qualcosa di molto prossimo all’autolesionismo? Non a caso l’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer accusa: «La Germania non affondi l’Europa. Sarebbe la terza volta in cento anni».Eppure forse il male oscuro alligna proprio là, all’interno di quell’Europa rinata dalle macerie della Seconda guerra mondiale che ci ha garantito sessantacinque anni di pace ma non è riuscita a farsi Unione, né nazione e nemmeno condominio fiscale, monetario, giuridico, militare. Un’Europa troppo à la carte, troppo elitaria e dunque lontanissima ormai dai popoli che rappresenta, che ora osserva attonita la propria impotenza, che ha macinato venticinque vertici tra ordinari e straordinari allestendo simulacri di piani anticrisi ad esclusiva garanzia delle banche mentre per nazioni "deboli" e dunque sacrificabili (come la Grecia o come un domani potranno essere la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda e – certo, perché no? – persino l’Italia) non erano che l’anticamera del fallimento.È questa dunque l’Europa che consegneremo al ricordo delle generazioni future? "Siamo prima persone, cittadini, europei e poi tedeschi", diceva nel 1946 il cancelliere Konrad Adenauer. I tempi, come la statura dei suoi protagonisti, sono molto cambiati. L’Europa, ci piaccia dirlo o no, ha i giorni contati. Un centinaio, azzarda il finanziere George Soros, forse meno, se contiamo il breve tempo che ci separa dal vertice di fine giugno a Bruxelles. A quell’epoca sapremo anche se la Francia di Hollande si sarà data un governo omogeneo o vivrà una difficile coabitazione (ricordate il marriage blanc fra Mitterrand e Chirac, o fra Chirac e Jospin?) e soprattutto se la Grecia - a cui Standard & Poor’s assegna un 33% di probabilità di uscire dall’euro - sarà governata dalla rinata Nea Demokratia o darà i voti alla sinistra antieuropeista di Syriza. Impareggiabile ma forse profetica ironia: sul retro delle monete greche da 2 euro è raffigurato il "Ratto di Europa". Vorremmo poterlo rivedere ancora a lungo. E pensare con fiducia a un’altra Europa, non alla brutta caricatura che siamo costretti a sopportare oggi.
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