sabato 11 marzo 2017
L'arrivo di Schulz rianima il partito, dopo anni di crisi. Il partito del popolo prova a ricollocarsi nello scacchiere politico dopo 8 anni di grande coalizione con la Cdu della cancelliera Merkel
Germania, per le elezioni la Spd si rimette a sinistra
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Per la socialdemocrazia tedesca il 2017 potrebbe essere un anno di svolta. Certo è che con l’arrivo di Martin Schulz come candidato alla cancelleria, lo storico partito che fu di Willy Brandt e Helmut Schmidt – considerati i più grandi politici tedeschi insieme a Konrad Adenauer e, in parte, Helmut Kohl – appare percorso da un brivido nuovo, dopo troppi anni in cui languiva in uno stato di depressione e costante perdita di consensi. Una crescente debolezza unita a una crisi di identità, favorita da otto anni di «abbraccio mortale» nella grande coalizione con la Cdu della cancelliera Angela Merkel, giunta al dodicesimo anno al potere. Se alle politiche del prossimo 24 settembre dovesse vincere e ottenere altri quattro mandati, Merkel raggiungerebbe il record dei sedici anni di Helmut Kohl. Nonostante le critiche interne e la perdita di consensi per la politica migratoria, fino all’arrivo dell’ex presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz, in effetti la vittoria di Merkel appariva scontata: la Spd guidato dal vice cancelliere Sigmar Gabriel era intorno al 22%, oltre dieci punti sotto la Cdu di Merkel, un divario incolmabile. Al punto che vari commentatori si sono chiesti se la Spd possa esser ancora definito Volkspartei, l’espressione tipicamente tedesca per indicare i «partiti del popolo», che noi chiameremmo partiti di massa.

Solo che Gabriel, controverso e poco popolare presidente del partito, ha capito che in gioco era il futuro della socialdemocrazia tedesca, e anche molto di più, visto che l’unica vera alternativa alla Merkel appariva o l’estrema destra di AfD, o l’estrema sinistra di Die Linke. Ed ecco il colpo di scena, Gabriel si fa da parte, arriva Schulz, un signore che qualche giornale scherzosamente ha definito «una rock star con la barbetta, la pelata e gli occhiali». Nel giro di pochi giorni la Spd è schizzato di dieci punti, qualche giorno fa era dato addirittura al di sopra della Cdu, negli ultimissimi sondaggi è alla pari. E’ il «miracolo» di Schulz, anche se nessuno sa quanto - e se - durerà fino al 24 settembre. Il punto è che l’ex presidente del Parlamento Europeo, 61 anni, con un passato da alcolizzato, libraio, sindaco della sua piccola Würselen (cittadina di 36.000 abitanti in Vestfalia), figlio di un semplice poliziotto, è riuscito a ridare al suo partito qualcosa che la Spd aveva perso da anni: entusiasmo e mobilitazione. Certo, l’aiuta la paura per l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump (e del suo consigliere dell’ultra destra nazionalista Steve Bannon). Conta però anche la passione che emana nei suoi discorsi come la sterzata a sinistra che sta cercando di dare alla Spd, in (parziale) rottura con la linea degli ultimi anni. La parola chiave: giustizia sociale, il cuore della socialdemocrazia tedesca (e non solo). Per molti iscritti è un ritorno alle radici, un recupero dell’identità perduta.

La crisi della Spd parte da lontano, già nell’era di Kohl il partito si era indebolito. Per molti, però, il «colpo di grazia» - paradossalmente - è arrivato proprio dall’uomo che riporto la Spd in cancelleria, Gerhard Schöder (cancelliere dal 1998 al 2005). È un vecchio adagio che solitamente sono i partiti di sinistra a dover fare politiche «di destra», ed è stato un po’ il caso con l’Agenda 2010 lanciata da Schröder nel 2003 e cui un po’ tutti attribuiscono il merito di aver rilanciato l’occupazione, mentre nel 1998 la Germania era definita «il malato d’Europa» con quasi sei milioni di disoccupati. A giudicare dalla situazione attuale, con appena il 4,1% di disoccupati, l’agenda ha funzionato. Solo che è stata drastica: riduzione dei sussidi di disoccupazione con la limitazione a soli 12 mesi, maggiore severità con i disoccupati (con abbassamento della soglia di accettabilità dell’offerta di nuovi posti di lavoro, che possono essere di livello molto inferiore a quello precedentemente avuto). E poi riduzione della protezione dai licenziamenti, liberalizzazione di molti mestieri prima regolati da appositi ordini con tanto di titolo. Già nel 2002 era partita la riforma firmata, su incarico di Schröder, dell’ex manager della Volkswagen Peter Hartz che prevede integrazioni salariali per spingere i disoccupati soprattutto di lunga data ad accettare lavori di pubblica utilità. Il punto è che l’Agenda 2010 è stata percepita come durissima soprattutto dai ceti medio bassi, e la Spd ha perso enormemente consensi soprattutto nel suo elettorato storico, a cominciare da disoccupati e operai, molti dei quali si sono rivolti da ultimo alla destra nazionalista e anti-Ue dell’AfD (Alternative für Deutschland) o hanno scelto l’astensione.

La politica riformatrice di Schröder provocò anche violenti liti interne al partito, quasi subito si dimise dalla Spd e dalla carica di ministro delle Finanze Oskar Lafontaine, poi vi fu la clamorosa scissione del gruppo della Wasg (un gruppo creato da transfughi della Spd in disaccordo con Schröder), tutti poi confluiti con la Pds, erede dei comunisti della Germania Est, a creare il partito di estrema sinistra Die Linke. Non stupisce che Schulz abbia preso di mira proprio l’Agenda 2010. Ad esempio garantendo un allungamento del versamento del sussidio di disoccupazione, la riduzione della possibilità di ricorso ai posti di lavoro a tempo determinato, o ancora il rafforzamento della protezione dal licenziamento. «Fare errori - ha tuonato Schulz non è una vergogna. Importante è riconoscerli, e correggerli». «Una scelta che gli porterà vantaggi commenta il politologo Oskar Niedermeyer su NTv - una parte del partito era ostile fin dall’inizio all’Agenda 2010, allora la Spd perse i sindacati e molti elettori». Sul tema insiste Schulz a ogni piè sospinto, «dobbiamo rafforzare la tassazione dei grandi patrimoni - ha detto di recente - la gente che guadagna i suoi soldi con duro lavoro non può esser svantaggiata rispetto di chi semplicemente lascia lavorare il suo capitale».

Una cosa è chiara: la Spd ha urgente bisogno di differenziarsi dalla Cdu, dopo anni di grande coalizione. E soprattutto dopo che Angela Merkel ha fatto propri tanti temi del centro-sinistra: dall’accoglienza per i migranti all’abbandono del nucleare, dal salario minimo (introdotto, a onor del vero, grazie alle pressioni Spd), al sostegno all’occupazione delle donne, più asili e altri. «Se la signora Merkel - ha commentato Schulz - fa politica con una profonda impronta socialdemocratica, va benissimo. Ma allora i cittadini dovrebbero preferire l’originale, e questo sono io». Schulz, dice Rudolf Korte, politologo dell’Università di Duisburg-Essen a Ard, «tocca temi che preoccupano tantissime persone, lascia pensare che si occupa davvero della gente, a differenza di tanti altri politici». Altri candidati socialdemocratici, Frank-Walter Steinmeier prima, Peer Steinbrück poi, hanno perso anche perché erano percepiti come troppo legati all’establishment, troppo distaccati dal cittadino comune. Schulz, a parte la parentesi di sindaco di Würselen, non ha mai fatto politica in Germania, e dunque è percepito come «uomo nuovo». Con una sterzata a sinistra, il ritorno ai «valori storici» della Spd. Se questo gioverà o meno al paese, è un’altra storia.

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