venerdì 9 novembre 2012
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Grande retorica di rito e piccoli tagli da bonsai: su questi due binari, così tipici della cultura cinese, si è mosso il discorso-fiume del presidente Hu Jintao all’apertura del 18° Congresso del Partito comunista cinese (Pcc). In 90 lunghi minuti davanti a oltre 2.200 membri, il leader uscente ha presentato un grande affresco delle sfide che il Pcc e il Paese devono affrontare: l’enorme divario fra ricchi e poveri; l’eccezionale inquinamento; lo squilibrio fra città e campagne; la crisi economica globale.
Ma per tutte queste emergenze ha offerto solo forbici da bonsai. Ha suggerito uno 'sviluppo scientifico', cioè il tentativo di contemperare la crescita economica sregolata con l’attenzione ai meno abbienti; ha parlato di cura per l’ambiente; ha proposto di migliorare le condizioni di vita della popolazione urbana e dei contadini, rafforzando alcune riforme, in particolare la 'democrazia' a livello di base, nei villaggi. Tale democrazia esiste già formalmente, ma è completamente sotto il controllo del Partito, che sceglie i candidati e li controlla. In ogni caso, Hu ha escluso ogni mutamento politico che avvicini il Paese a «un sistema occidentale». In effetti, nel discorso del presidente non vi è alcuna nuova proposta: i concetti di 'sviluppo scientifico' e di 'società armoniosa' sono presenti da 10 anni nei suoi pronunciamenti.
Ma la situazione sta diventando sempre più critica. Invece di essere una società che distribuisce il benessere, la Cina ha raggiunto il primato della maggiore distanza fra ricchi e poveri, con 70 membri del Partito che sono fra i paperoni del mondo e 110 milioni di cinesi che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno, al di sotto della soglia della povertà. Nelle città i redditi sono superiori di 10 volte rispetto alle campagne, eppure almeno metà della popolazione vive ancora di agricoltura, priva di servizi sociali essenziali, come le cure mediche e l’istruzione.
Un problema affrontato in più passaggi è stato poi quello della corruzione dei quadri del partito, che un’inchiesta del Quotidiano del popolo ha mostrato come il più urgente per la popolazione. Hu ha affermato che se non si ferma questo cancro, esso potrebbe causare «la caduta del Partito». Pure questa 'minaccia' è stata ripetuta molte volte negli anni passati, ma la corruzione è ormai divenuta endemica. Rimbrottando i 'figli di papà' del Partito (i 'principini'), divenuti famosi sulla stampa per la loro licenziosità e ricchezza, Hu ha sottolineato che la carriera deve avvenire «sul merito, senza alcun riguardo alle origini»; e ha detto con decisione che chi viola la legge sarà perseguito «chiunque egli sia, qualunque potere o ruolo ufficiale abbia». Il riferimento allo scandalo di Bo Xilai, ex capo del Partito a Chongqing, accusato di malversazioni, è evidente. Ma proprio nelle scorse settimane sono state svelate le ricchezze di dubbia provenienza del premier Wen Jiabao e perfino del futuro leader Xi Jinping, accuse messe subito a tacere con l’oscuramento di Internet.
Da anni Hu esige che i membri del Pcc denuncino pubblicamente i beni personali e dei propri familiari, ma finora nessuno lo ha fatto. Nemmeno lui. Il vero problema, sottolineato da molti dissidenti imprigionati, come il Nobel Liu Xiaobo, è che il Partito non può svolgere insieme il ruolo di medico e di paziente. Ma perché il Pcc ascolti il popolo e le sue critiche occorre che gli si tolga il monopolio del potere. E a questo non vi è stato alcun accenno nel discorso di Hu. Perciò, il futuro prossimo della Cina è la stagnazione politica, assieme a sempre maggiori rivolte sociali causate proprio dalla 'disarmonia' e dalla corruzione. Anche per tali aspetti vale la sapienza del bonsai: piegare i rami fissandoli con il filo di ferro.
Nel decennio di Hu e Wen, le tecniche di repressione sono divenute più sofisticate: sequestri, sparizioni forzate, torture, detenzioni illegali nelle 'prigioni nere', arresti domiciliari, 'turismo forzato', accuse di 'disturbo all’ordine pubblico' e di 'evasione delle imposte'. È successo all’artista Ai Weiwei, che critica lo sfruttamento degli operai cinesi, come ai vescovi fedeli al Papa, che chiedono più libertà religiosa.
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